lunedì 27 dicembre 2010

Il freddo tempra lo spirito!


D’accordo, forse il periodo migliore come clima per andare a vogare è da metà aprile a metà-fine maggio. Però per me è l’inverno.

Ghiaccio in laguna - foto da www.veniceboats.com/ (clicca per vedere altre foto)

Le belle giornate invernali hanno un fascino e un potere formativo ben superiore a quelle estive. Diciamo che l’importante è che non ci sia vento eccessivo. Ma questo vale sempre.
D’inverno ci sono meno barchini e andando fuori dai canali si è quasi certi di non incontrare nessuno, al limite si incontrano altre persone che vogliono star fuori dalla massa. Per fortuna che l’uomo tende ad amare le comodità: i pochi che si adattano alle situazioni più complesse godono maggiormente!
Comunque, seguendo alcune regole di base, come per esempio l’esser vestiti a strati, si può sopportare benissimo il primo impatto col freddo. Poi vogando ci si scalda. Appunto, se non c’è vento si suda e personalmente mi ritrovo a sudare come d’estate. La prima difficoltà da superare è spesso il freddo alle mani, bisogna un  po’ farci l’abitudine. I guanti, vogando, dal mio punto di vista sono scomodi perché limitano la sensibilità del palmo e della parte inferiore delle dita. Avevo studiato una sorta di prototipo, sia di guanto, sia di muffola, che lasciasse libero il palmo e coprisse la parte superiore, quella esposta all’aria. Funziona ma non benissimo per cui se proprio non sono temperature “montanare” vado a mani libere.
Quello che considero uno degli aspetti positivi e formativi del freddo è che quando ci si ferma ci si raffredda, di colpo. E quindi è bene fermarsi il meno possibile. D’estate è diverso, è l’opposto. Fermandosi si ha un po’ di sollievo. In fondo anche quello è un sopportare le temperature, ma è un sopportare “comodo”. Cioè se poi non voglio più vogare e voglio fermarmi posso starmene tranquillo a prendere il sole. Se mi infortunio leggermente posso tornare con calma. Se c’è vento non patirò il freddo, sarà magari dura vogare ma non c’è freddo.
L’inverno non ti lascia questa opportunità. Una volta che sei uscito devi far fatica! O rischi di ammalarti. Se per caso ti fai male devi tenere duro e cercare di vogare per non raffreddarti.
Col vento le cose cambiano. Il vento può non farti mai scaldare le mani e mi è capitato spesso di vogare senza sentirmi il pollice o qualche falangetta delle altre dita.
Ma mi vien da chiedere però a che temperatura si può considerare il clima “freddo”. In questi giorni d’inverno e di acqua alta sentivo per strada veneziani lamentarsi sia dell’acqua alta sia del fatto che il tempo migliorava ma veniva il freddo. Beh… non sappiamo più accontentarci di nulla: in fondo siamo in inverno, non si può mica pretendere di avere inverni a +15°C.
Per cui, per quella che è la mia sopportazione di freddo, direi che comincia a far freddo sui +3/+4°C; le temperature dai +5°C ai +15°C non sono poi così male.
In questi anni ho vogato in tutte le condizioni meteo possibili e devo dire che la sensazione di vogare alla mattina d’inverno con -5°C -7°C è da provare. Sembra molto più freddo, complice il clima umido lagunare, ma dopo 10 minuti ci si abitua e potrebbe essere anche più caldo.
Diciamo che al freddo in laguna c’è un limite. Io vorrei poter provare i -20°C che spesso, in questi ultimi anni, mi è capitato di trovare in montagna durante i miei giri. Ma sappiamo che a quella temperature non mi basterebbe più una barca, mi servirebbe una slitta!

 1929 - laguna ghiacciata

Con tutto questo discorso non voglio dire che l’estate non sia egualmente bella in barca a remi o che sia un periodo per scansafatiche e amanti delle comdità. L’estate ha i suoi aspetti positivi. Anche il caldo può essere usato come una fonte di fortificazione. Si impara a resistere al caldo, che è anche utile se si ha intenzione di far gare in ambito comunale veneziano. Ma anche in questo caso, bisogna imporsi di resistere e di non fermarsi.
Ogni stagione ha i suoi pro e i suoi contro. Dico solo che dovremmo rivalutare e considerare utile anche l’inverno.
Insomma dal mio punto di vista il freddo tempra maggiormente non solo il corpo, anche lo spirito, di quanto possa fare il clima caldo. Col freddo si è obbligati ad essere più attivi se si vuol combatterlo! Col freddo bisogna fare più attenzione a non bagnarsi, si fa più attenzione all’intensità del vento. Col freddo si impara a escludere dalla mente i pensieri inutili!

Ghiaccio in laguna di Marano all'alba (foto da Panoramio)

sabato 18 dicembre 2010

Divertiti, anzi no. Rifletti!


Mi ha sempre un po’ infastidito l’augurio “divertiti” che si può fare quando si parte per un viaggio, quando si va a fare sport, quando si va a teatro, etc. etc.
Se guardiamo l’esatto significato del verbo “divertire” scopriamo che significa “ricreare lo spirito” ma anche “infondere nuovo vigore; dare sollievo e ristoro, rallegrare e ritemprare l'animo procurare piacere, interesse”.
Quindi il mio fastidio non ha senso ma credo che al giorno d’oggi al significato di divertimento si tenda a dare una valenza spesso sciocca e superficiale. Si tende a pensare che divertimento non siano quelle attività che occupano la mente e/o il fisico seriamente. Ed effettivamente se pensiamo ad una crociera e alla pubblicità che ne viene offerta è proprio quella l’idea di divertimento che si vuol far passare.
Trovo quindi che l’augurio “divertiti” sia, magari in buona fede, un po’ troppo generico. Io preferisco augurare di riflettere, di pensare, di mettere a fuoco, di ritrovare se stessi. Oppure di imparare, di osservare, di studiare. O ancora di far fatica, di far pratica, di trovare gli automatismi dei propri gesti. Insomma, mi rendo conto che sembro un po’ esagerato, ma credo che ogni attività che ci prestiamo a fare possa avere il suo augurio specifico.


Per esempio se dovessi augurare ad una persona che parte per un viaggio in posti esotici non le augurerei di “divertirsi” ma di “riflettere”.
Spesso i luoghi esotici sono visti come una sorta di Luna Park dove è permesso fare ciò che qui ormai è vietato dalle regole. Sono posti visti come paradisi naturali solo per il fatto di essere a latitudini equatoriali. Diventano poi luoghi esotici, anche se non lo sono, perché si è voluta costruire un’immagine pubblicitaria apposita. Tornando alle definizioni, “esotico” significa per l’appunto “che proviene da lontani luoghi, straniero, forestiero” ma a dir la verità, sempre più spesso è usato nel senso di “ostentatamente originale e stravagante”.
Me ne scaturiscono due riflessioni. La prima banale: ma perché un luogo deve essere per forza originale e stravagante? Cioè la natura non ha niente di stravagante, è la pazzia umana a rendere stravagante le cose.
La seconda un po’ più seria: mi chiedo se sia corretto alimentare il turismo in questi luoghi. Solo pochi si arricchiscono e per molti non cambia nulla. Guarda caso i posti esotici sono spessi i più poveri del mondo dove la vita, per un occidentale, costa pochissimo.
Io credo che il progresso reale nel mondo potrà far dei passi in avanti quando noi occidentali abbandoneremo il nostro essere viziati e penseremo al divertimento in modo completamente diverso da quello che la pubblicità ci propina.

Ad uno che si appresta ad affrontare un giro in montagna casomai lo avvertirei “fa attenzione” e gli augurerei di osservare le montagne nel loro insieme e nel particolare per cogliere la grandezza che sanno trasmettere all’osservatore attento e voglioso di imparare.

Altro esempio: quando si va a teatro il divertimento consiste nel fatto di gustare i vari passaggi dell’opera/commedia/concerto/quant’altro e non sempre è così tutto immediato. Spesso l’ascolto prevede che in un secondo momento si vada ad approfondire quanto goduto in precedenza, o eventualmente, viceversa.

Di esempi ce ne sarebbero moltissimi altri.
Arrivando al concetto di divertimento superficiale direi che non augurerei proprio nulla. “Vado in discoteca” “Divertiti!” Ma divertiti cosa? Non dico sia un fatto negativo ma il proprio fisico e la propria mente non ne ricava nulla, lo so per esperienza. Anzi a distanza di tempo ci si accorge che quello usato di notte era solo tempo rubato a quanto di meglio si può fare di giorno. Casomai un "sta attento" è molto meglio di tutto.

giovedì 9 dicembre 2010

Semplicità

Era il 26 Gennaio 2008 quando  è venuto a mancare uno degli artigiani veneziani più cari a chi possiede una tipica imbarcazione lagunare in legno, in particolare a chi è proprietario di una "sampierota".

Inutile spiegare cosa sia la passione verso un mondo acqueo legato anche alle sue barche, la passione verso il mantenimento di queste opere semplici e sagomate su ogni dettaglio dall’esperienza di generazioni di squeraroli. E’ una di quelle cose che ho dentro di me, da quando sono nato, nel bene e nel male. Insomma, credo che avere una barca in fasciame sia paragonabile all’essere sposati. Bisogna stare attenti che non si secchi troppo, ma che non prenda neanche troppa acqua; ogni anno, come per le persone, invecchia e cambia il modo di reagire in acqua, diventando sempre meno rigida, fino a che non è necessario sostituire qualche pezzo.
Se si va via per lunghi periodi bisogna lasciarla a persone fidate, ma che non la conoscono nei minimi dettagli e quindi, in buona fede, qualcosa di male gliela faranno sicuramente. E tutto questo a volte stressa!! Anche se senza ci si sente un po’ più soli...

Ma torniamo all’artigiano morto ormai due anni fa’, il signor Piero Menetto di Pellestrina. A descriverlo in questi anni varie persone, tutte accumunate dalla stessa passione per la cantieristica tradizionale.
Personalmente l’ho conosciuto quando nel 2004 ho portato a fare manutenzione alla mia barca (che allora aveva 37 anni) e alla quale sono morbosamente affezionato (era la barca del nonno, con la quale ho imparato tutto quello che so sull’andare per la laguna).

Ho deciso di portare lì la barca perché dovevo controllarla personalmente raschiando tutta la vernice, da tutte le parti, per poter vedere se necessitava di interventi straordinaria di manutenzione. E proprio per poter eventualmente fare la manutenzione pesante mi serviva un artigiano esperto. La mia barca era stata costruita nella patria delle "Sampierote" a San pietro in Volta nel 1967. Purtroppo quel cantiere ormai non esisteva più, ma la persona che ne aveva ereditato l’esperienza era Piero Menetto che il suo cantiere ce l’aveva poco distante (ma non mischiate Pellestrina con San Pietro in Volta, si offenderebbero a morte).
I cantieri veneziani, del centro storico di Venezia, non erano in grado di fornirmi la capacità di interagire con la mia barca durante i lavori (per giuste norme di sicurezza) e in più la differenza da un punto di vista del portafogli era notevolmente a vantaggio del lontano (per me) cantiere Pellestrinotto.
Da subito mi era stato detto che era difficile convincere Piero a farsi fare un lavoro; nonostante questo mi ha dato la possibilità di farmi da solo tutto ciò che volevo. Raschiando tutta la barca, ho trovato dei pezzi che andavano sostituiti. Ho cercato quindi di convicenrlo a farmi il lavoro. Mi ha lasciato di stucco la sua risposta, con quell’accento tutto particolare che hanno a Pellestrina: (traduco)"I pezzi te li faccio, ma grossolani; in questi giorni ti ho visto lavorare e sei bravo, puoi tranquillamente montarli tu, poi io controllo come li hai messi, e se proprio non ci riesci, ti do una mano".


Nei giorni successivi mi ha insegnato anche come richiodare il fondo e mi ha svelato qualche piccolo trucco sull’uso del martello (che pensavo già di saper adoperare) e mi ha fatto i complimenti per come mi dipingevo la barca: "E più bella di un mobile..." (ma è un complimento?!).

Il problema, pensavo, sarebbe arrivato alla presentazione del conto. In fondo ho occupato il suo cantiere per 2 mesi (eh, non potevo mica andare tutti i giorni, tra andata e ritorno ci volevano 3 ore), mi ha fatto 4 ordinate nuove e altre piccole-grandi riparazioni; facendo un po’ di conti in un cantiere più vicino a Venezia avrei speso sui 3000 € più la verniciatura che non avrei potuto fare da solo, insomma sui 5000 €.

Invece sorpresa 180 €!! Invano ho cercato di lasciarne almeno 500, non ha voluto.

Di quel periodo passato nel suo cantiere ho i ricordi un po’ anche contrastanti della vita che trascorreva lontana apparentemente da tutto.
Di una vita (la sua) semplice e senza fronzoli, ma non per questo insensibile alle cose belle e piccole. Con la stessa cura e decisione tagliava le tavole, impiantava i chiodi o dava da mangiare ai gattini, figli della sua gatta. E con la stessa abilità e generosità ti portava qualche “cicchetto” o ti offriva un pasto completo.
Riceveva in continuazione visite, quasi a scandire le ore al posto dell’orologio, da parte di persone di qualsiasi tipo (dal vecchio pescatore all’ingegnere ancora in attività, dai pescatori agli appassionati di vela al terzo, amici d’infanzia e parenti.
Sembrava di essere in un’isola a sua volta all’interno di una piu grande (Pellestrina).
Venendo via, da una parte ero contento di "tornare alla civiltà", dall’altra mi sembrava di lasciare un pezzettino di me in quel posto...

Credo che Piero fosse uno di quelli che aveva in sè la filosofia del "TOGLIERE", ma questo è un altro discorso. Sarà per un’altra volta.

Federazione Voga Veneta o FICSF? Ecco cosa ne pensano fuori da Venezia

Mi chiedo se tutti gli appassionati veneziani, anche coloro che sostengono Giusto, sono a conoscenza di quanto sta accadendo.
Riporto una lettera aperta a tutti i presidenti delle società di voga in piedi, escluse le società veneziane "coordinamentate".


(quanto riportato in seguito è il contenuto della lettera che a breve si potrà leggere anche sul sito www.ficsf.it, al limite in basso ci sono le immagini del documento originale)



FEDERAZIONE ITALIANA CANOTTAGGIO SEDILE FISSO
CANOTTAGGIO PER TUTTI

dicembre 2010
Lettera Aperta a tutte le associazioni remiere italiane di Voga in Piedi

Gentili ass.ni di Voga in Piedi,
in seguito all'incontro tenuto a Padova il 4 dicembre 2010, la FICSF ed il Comitato Federale incaricato di coordinare il progetto si sentono in dovere di precisare su alcuni punti fondamentali, lanciando un invito all'unità ed alla cooperazione.
Il progetto ViP750 nasce dall'esigenza di porre fine all'immobilismo creato, nel mondo della Voga in Piedi, dal Coordinamento delle remiere che, a dispetto del nome "nazionale" ha sempre perseguito una politica esclusivamente veneziana. Prova ne sono le manifestazioni organizzate, le iniziative svolte, il nome stesso del dominio web ecc.
Pur riconoscendo il grande rilievo tradizionale e numerico della realtà veneziana, si ritiene necessario, per creare una vera unione "nazionale", andare oltre i particolarismi, anche quelli molto numerosi e organizzati.
Il progetto assume denominazione "Voga in Piedi" non per volontà di mettere in discussione qualche non meglio specificato primato teorico o per fare inutile polemica. Il nome parte dalla costatazione che nella Voga praticata in posizione eretta sussistono diverse varianti locali. La più diffusa è la Veneta, ma si trovano anche, con buon bacino di diffusione, la voga Bresciano-Veronese (province di Brescia, Verona e Bergamo) e quella comasca: il nome Voga in Piedi risulta quindi inclusivo di tutte le forme di voga presenti sul territorio nazionale.
Il progetto non nasce con volontà impositiva, né in contrasto a "qualcosa o qualcun altro" e anticipa ogni altra iniziativa che vuole somigliargli. Partendo dalla costatazione di totale uguaglianza di tutti gli aderenti, ha creato una BOZZA di imbarcazione poco costosa, duttile, di facile utilizzo, progettandola in modo che potesse essere impiegata, con resa accettabile, in tutti i contesti geografici. Sebbene la barca, su cui sono stati investiti capitali ingenti, non si possa (per evidenti ragioni economiche e di investimenti già compiuti comprensibili a tutti) modificare nell'immediato questa costituisce un campo di confronto, prova e sperimentazione. La barca non vuole essere una "questione ideologica o religiosa". In futuro sarà possibile aprire al confronto ed alla discussione coinvolgendo tutti gli aderenti, sia quelli della prima ora che quelli giunti in corso d'opera. E' necessario che tutti, se si vuole fare qualche passo avanti, siano capaci di uno slancio di generosità, capaci di superare i puntigliosi particolarismi per riconoscersi in un progetto che va al di là degli egoismi dei singoli. Chi per primo ha aderito al movimento ViP750 ha comunque subito gli effetti “negativi” di questa scelta, perché di fatto la barca è nuova per tutti, nessuno la conosce e quindi, poco o tanto, scontenta tutti, promotori compresi. Ma è un primo banco di prova, per "sperimentare la condivisione" di una passione che ci accomuna. E' proprio a partire da questa comune passione per i nostri territori, per l'acqua, dolce o salsa che sia, per le barche e per tutto il patrimonio di valori culturali e soprattutto sportivi che portiamo con noi, che va costruita la condivisione.
Dobbiamo farci carico di trasmettere ai più giovani questi valori, mostrando anche di essere in grado di slanci di generosità. Dobbiamo saper unire e condividere i saperi e le esperienze per il bene comune della disciplina. Questo può solo farci forti, coesi e compatti, può trasformarci in interlocutori potenti e ascoltati nei confronti delle istituzioni.
Questo, a nostro avviso, significa anche portare avanti la tradizione. “Tradere” in latino significa consegnare, trasmettere, è un verbo che da atto di una continuità nel tempo, dal passato al presente.
Crescendo, andando avanti, diventando forti e numerosi dimostriamo che il nostro sport non è una muffosa vetrina museale, ma una realtà viva, al passo coi tempi, che cresce e si rafforza. Le piccole realtà di laghi, fiumi, laguna, coste, non dispongono di tanti mezzi, anche se sono magari vitali e numerose in termini di associati. Per questa ragione diventa necessario uno slancio di generosità dei grandi nei confronti dei piccoli, dei forti verso i più deboli, sempre nella consapevolezza che i passi fatti sono compiuti nell'interesse di tutti.
Al di là della barca, che costituisce un "canovaccio", al di là di tutti i problemi che potranno nascere in corso d'opera, è importante condividere il reciproco rispetto, il senso di uguaglianza, la volontà di condividere una comune passione. La speranza in un futuro fatto non di roboanti proclami (di federazioni, di olimpiadi, cui non segue mai nulla di reale) ma di piccoli passi concreti, veri, che portano, momento dopo momento, a risultati tangibili. Noi speriamo di aver tracciato un minuscolo sentiero, lungo cui, tutti, ci si possa incamminare, cambiando magari il tracciato ipotizzato ma senza dubbi sulla meta finale che si vuole raggiungere.
Nella Federazione Italiana Canottaggio Sedile Fisso (FICSF) abbiamo trovato e continuiamo a trovare un contesto adeguato, che concede spazi, fornendo nello stesso tempo i necessari quadri normativi che fanno da necessaria cornice allo sviluppo della disciplina. Troviamo i presupposti e gli strumenti per realizzare CONCRETAMENTE i realistici obiettivi che ci siamo posti, che possono essere così sintetizzati: TRASFORMARE LA VOGA IN PIEDI IN UNA DISCIPLINA RILEVANTE E DI RESPIRO NAZIONALE.
Per questo serve il contributo di tutti.

Il Comitato FICSF per la ViP750

Sede: via Prà, 63 A (lato mare) – 16157 GENOVA – Tel . 010 6671782 f@x 010 4206621 –
Cod. Fisc. 95007090103 P.Iva . 01640980999
Sito Internet : www.ficsf.it E.mail segreteria@ficsf.it



Cos'è la FICSF e il suo progetto Vip750

Senza dilungarmi in troppe spiegazioni, pubblico il volantino esplicativo.
Eventualmente rimando al sito www.ficsf.it per ulteriori approfondimenti
(clicca la foto per ingrandirla)


mercoledì 8 dicembre 2010

Voga... a salve



Pronti… la bandierina rossa si abbassa... (sparo a salve) Ti ritrovi partito senza capire se sei partito veramente, quasi senza la convinzione di essere in una regata. In quel momento pensi a tante cose e spesso non riesci a farne nessuna di quelle che volevi veramente, forse ti ritrovi a lottare contro nessuno, contro te stesso alla fine. Ma se questo è un fatto anche positivo, non lo è in questo mondo dove bisogna cercare quasi il contatto con l’avversario.
Io no! Non mi sento parte di questo spettacolo, fosse per me farei la mia strada senza preoccuparmi di nessuno, come quella volta nella regata alla valesana, che controvento, controcorrente, contro tutti ho rimontato dalla sesta alla terza posizione, solo con le mie forze. Sì, quella si è stata una vera rimonta. Peccato solo che quella regata non contasse veramente nulla,  anche se ho battuto Bepi Fongher.
Ma queste cose poi non contano nella vita reale, nella vita globale. E questo credono di saperlo in molti, ma sono convinto che pochi, pochissimi conoscano il vero significato della voga, fuori dal suo mondo.

Coordinamento


Questo post è suddiviso in 2 parti: Cos’è il Coordinamento e Come vorrei fosse il Coordinamento.

Cos’è il Coordinamento  delle associazioni di Voga Veneta


No, non ho dimenticato la dicitura “nazionale”, l’ho omessa!
Nato nel 2000 (correggo, qualche anno prima ma non ricordo esattamente) unificava tutte le società di voga Veneziane. L'intento era nobile. Risolvere i problemi di rapporto con il comune. Trovare cioè un unico rappresentante che esponesse i problemi delle società e che contemporaneamente gestisse quelle occasioni (tipo la regata storica) dove le società devono organizzarsi per formare un corteo uniforme e spettacolare. Anzi fu proprio il Comune a spingere la nascita di questo organo.
Se inizialmente le cose partirono bene, non continuarono altrettanto.
Con l’avvento alla presidenza di Giovanni Giusto il coordinamento ha cambiato faccia: si propone allo stesso piano (anzi vorrebbe porsi un gradino più in alto, o forse lo fa già) di un'associazione di voga.
Spesso il parolone “Coordinamento” appare davanti ad iniziative di singole remiere. Chi non conosce queste realtà spesso è portato a pensare che il coordinamento organizzi tutto. Errore: di fatto il coordinamento si prende i meriti di iniziative lodevoli. Penso per esempio all’idea buranella delle “maciarele“ (i ragazzi sotto i 14 anni). Pur sapendo che l’idea è partita dalla società sportiva “Voga e Para”, il coordinamento l’ha fagocitata e resa propria. Non che non venga ricordato lo sforzo della Voga e Para ma viene messo in secondo piano.
Altra nota dolente sono i fondi erogati dagli enti pubblici, in particolar modo quelli della provincia.
Ogni società remiera deve presentare alla provincia di Venezia una lista delle proprie regate e altre attività svolte durante l’anno. I finanziamenti erogati poi vengono suddivisi con una graduatoria.
Qualche anno fa’ i vari enti pubblici hanno ridotto i fondi erogati alle società, cosa comprensibile. In questo contesto però il coordinamento è riuscito a farsi finanziare la costruzione di caorline dalla provincia di Venezia. Con che soldi, visto che i fondi per le società non c’erano? E poi quei soldi non avrebbero dovuti essere distribuiti alle singole società?
La stessa cosa si sta ripetendo, purtroppo, per la costruzione di quelle inutili barche chiamate “Olimpica” (ma questo è un altro capitolo).
Se da un lato posso anche condividere l’idea di costruire una muta nuova di caorline per le regate delle società, non capisco perché il Coordinamento non le abbia donate al Comune, che in fondo resta l’ente che ha in mano la parte di regate “reale”, le regate che contano sul serio, ovvero le regate comunali. Non capisco inoltre il comportamento dittatoriale in ambito “regate sociali”. Con le mute di barche comunali, previa richiesta, ogni società può organizzare le proprie regate dove più ritiene consono. Questa cosa non avviene con le caorline del coordinamento, che presta le barche, a patto che le barche partano e arrivino alla sua sede nautica.
Ed ecco un altro aspetto che del coordinamento proprio non capisco, ovvero la necessità di una sede nautica. L’attuale base diportistica del coordinamento è una struttura comunale che doveva servire per la R.S.C. Bucintoro, sfrattata dalla sede alle Zattere. Per vari motivi la Bucintoro è rimasta alle Zattere (chissà poi perché, vista l’impraticabilità del Canale della Giudecca) e il presidente del Coordinamento si è “impossessato”, a suon di pressioni politiche, di quello spazio.
In fin dei conti una base nautica al coordinamento proprio non serve, è uno spreco!
E arriviamo alla parte politica. Anni fa’, quando Giusto era solo il presidente del Coordinamento, dava l’impressione che il suo modo di “allargarsi” su tutto fosse molto politico. Spesso i suoi discorsi erano molto simili a comizi elettorali. Ricordo che in molte riunioni, prendeva la parola e non la mollava più, dicendo però nel finire del suo intervento che l’assemblea è sovrana. Spesso alla fine dei suoi discorsi nessuno prendeva più parola per timore di protrarre inutilmente in avanti quelle noiose ed inutili riunioni. Inutili perché tanto alla fine si faceva ciò che aveva proclamato Giusto.
Inoltre i suoi discorsi vertevano spesso sulla tradizione, le radici storiche, il Veneto, la Serenissima… insomma si captava un’aria leghista/serenissima che certamente strideva con l’aspetto apolitico e apartitico delle singole società di voga. La mia personale considerazione poi per chi è ossessionato dai discorsi indipendentisti, venetisti etc. etc. è pressoché nulla, come è pressoché nulla la considerazione verso chi parla di storia, di gloria del passato, senza sapere in realtà che la Storia ha condannato la Serenissima, ma ne parlerò in un altro post.
Comunque i miei (e non solo miei) sospetti che Giusto stesse puntando a una poltrona politica si sono dissolti quando Giusto si è candidato alle elezioni Comunali del 2010 come consigliere comunale. Ed ora, come volevasi dimostrare, è anche consigliere comunale con la Lega Nord.
Ma arriviamo ad analizzare l’aspetto “territoriale”. Come detto il Coordinamento è nato per gestire situazioni locali. In questi ultimi anni invece, almeno nelle intenzioni, ha cambiato dicitura avvalendosi della parola “nazionale”. Sono state coinvolte varie realtà di voga all’impiedi
Nel coordinamento sono state inglobate realtà che con la voga a Venezia non hanno nulla a che vedere. Dando per scontata la presenza delle società di Treporti (che si ritroverebbero fuori dal giro del comune, in quanto hanno ottenuto l'indipendenza da Venezia, dimenticandosi che ne facevano parte!). Dando per scontata la presenza delle società vicine (se non dentro) alla gronda lagunare come i Moranzani e Mestre. Dando un po' meno scontata la presenza di Meolo e Mira (ma se ci sono anche Mestre e Moranzani loro si sentirebbero esclusi). Non è assolutamente concepibile che ci siano società estranee alla gronda lagunare.
Sia chiaro: non ho nulla contro queste realtà, ma non hanno rapporti con il Comune di Venezia o con la Provincia di Venezia. Non ha senso che il Coordinamento coordini (scusate il gioco di parole) anche queste società. Cosa interessa a loro se il Comune di Venezia decide di non investire su certe società sportive?
A distanza di tempo sembra di capire che molte di queste società servano per portare avanti l’idea mentale di Giusto riguardo alla voga veneta. Nel senso che in Assemblea del coordinamento queste società hanno diritto ad un voto come le società veneziane. Spesso, quasi sempre, queste società sono assenti per motivi logistici e il loro voto va in delega. Il delegato voterà realmente nell’interesse di quella società o voterà comunque e sempre a favore di idee che portano a potenziare questa forma errata di Coordinamento? Il dubbio mi assale!

Come vorrei fosse il Coordinamento

  
La mia visione di ciò che dovrebbe essere il coordinamento sarebbe un organo molto più snello e ad esclusivo servizio delle società di voga veneziane. Diciamo che sarebbe un organismo meramente tecnico, una sorta di “sindacato delle remiere”: senza sede, senza soldi. Dovrebbe essenzialmente coordinare le attività delle varie società quando serve, potrebbe essere l’organo che aiuta a non creare accavallamenti di regate intersocietarie, servirebbe in manifestazioni come la regata storica per organizzare ciò che non è regata. Non dovrebbe mai apparire come nome, dovrebbe aiutare a destreggiarsi nell’apparato normativo del fisco le società che ne richiedono aiuto. Potrebbe essere utile a trovare fondi da distribuire alle singole società.
Insomma dovrebbe essere semplicemente uno strumento, non un’altra associazione. Soprattutto non un organo parapolitico.

Federazione per la voga all'inpiedi e prototipi


E veniamo all’ultima idea del Coordinamento e non solo, la federazione di voga alla veneta e il prototipo per le gare.
Condivido l’idea di una federazione (in seno al CONI). Non condivido la forma proposta dal coordinamento: più che la forma in sé sono i modi. Non si può pensare di porsi come i veneziani che impongono il loro modo di vogare al mondo. È sbagliato eticamente ed è un modo volgare di portare avanti un’idea comunque valida.
L’idea di una federazione (nazionale e magari riconosciuta anche a livello internazionale, come per qualsiasi sport) dovrebbe partire da presupposti non “tradizionali”. O meglio, come per discipline tipo il karate o il judo, si dovrebbe estrapolare un modo che metta d’accordo e su una base neutra i vari modi di vogare all’inpiedi. In questo contesto non è poi pensabile che le gare siano le classiche regate veneziane. Visto che si parlerebbe di sport agonistico, dove conta il gesto sportivo e non la furberia al limite del regolamento, si dovrebbe gareggiare come si fa nel canottaggio.
Non capisco perché, dovendo intraprendere una strada federale, non si sia pensato ad una barca come la “veneta” che già esiste e che fino a una quindicina d’anni fa’ aveva un suo campionato nazionale, con armi di varie realtà italiane.
Non capisco poi perché invece di cercare una reale collaborazione con gli ambienti vicini al canottaggio si sia cercato di rompere e di “mettersi da soli” contro il mondo.
Esiste già la FICSF (Federazione Italiana Canottaggio a Sedile Fisso) che opera nel settore della voga all’inpiedi. Ci si poteva porre in modo collaborativo assieme a questa realtà… ma le cose non sono andate in questo verso. In questi giorni (sabato 4 dicembre 2010) si è tenuta una riunione a Padova sul progetto Vip750 (la barca della FICSF per la voga all’inpedi) dove sono state invitate le società di voga di terraferma. Questo perché la FICSF ritiene ormai inutile collaborare con chi si è chiuso in una visione molto ristretta di quello che può essere la voga all’inpiedi (non la voga veneta!)
Tra l’altro la FICSF tiene dei corsi di istruttore di voga all’inpiedi, riconosciuti nazionalmente e già sotto le regole del CONI. Cosa interessante sapere che uno dei collaboratori del Coordinamento, il sig. Galileo Gavagnin, un paio d’anni fa’ si è diplomato istruttore con la FICSF per poi restare nella realtà del Coordinamento. Che senso ha questa mossa? È una mossa politica? Oppure è mossa solo da una sorta di presenzialismo/collezionismo, del tipo: “ho anche questo diploma”.

Vip750 in azione - immagine tratta da una notizia della FICSF

Un’ultima annotazione sulla barca che dovrebbe essere un’imbarcazione il più neutra possibile. Non voglio dire che dobbiamo dimenticarci delle tradizioni ma che, parlando di sport vero e di federazione, sarebbe più corretto se esistesse una barca “neutra”. In più dovrebbe essere facilmente trasportabile e leggera. In questo senso la barca del Coordinamento, Olimpica, è poco neutra perché nata con criteri costruittivi uguali a quelli di moltissime barche tradizionali veneziane, è pesante perché interamente in legno ed è difficilmente trasportabile. In questo senso la  Vip750 è leggera e trasportabile, addirittura suddivisibile in tre parti che possono essere montate sul tetto di un’automobile; mi sento di dire che a neutralità non è esattamente il massimo in quanto ricorda molto le bisse del Garda. Certo che dovendo partire da una base per elaborare una barca federale preferisco di gran lunga la Vip750.

 Olimpica in corteo sportivo, regata storica 2010 - immagine tratta da gondolasolidale.wordpress.com

La mia idea è che la barca ideale dovrebbe assomigliare molto di più ad una barca da canottaggio ma soprattutto dovrebbe essere studiata da ingegneri navali (come lo è la Vip) per non creare barche con difetti di comportamento in acqua.

venerdì 3 dicembre 2010

Fanes - ruote, niente voga!


 La discesa in Val di Fanes - 2006

26 Agosto 2008.
La giornata scelta non era il massimo da un punto di vista meteo, ma le condizioni di questi giorni mi hanno obbligato a fare un tentativo lo stesso questa mattina. Alla partenza da casa da S.Vito di Cadore, alle 7.00, le nubi non lasciavano capire se ci fosse stato qualche spiraglio, come da previsione. Ed infatti, nonostante il meteo dell’Arpav di Arabba avesse assicurato la presenza di schiarite e bassissima probabilità di pioggia, all’inizio della salita vera ho dovuto indossare la mantellina. In particolare il primo strappo su asfalto l’ho dovuto affrontare sotto uno scroscio violento. Poi vento. Per fortuna la velocità è bassa e la temperatura non è così fastidiosa come può sembrare. 14 gradi con la pioggia non sono poi così male, anche perché faticando vado meglio con le basse temperature. Appena però nel falso piano, ancora su asfalto, finisce tutto: sia la pioggia, sia il vento. Ed effettivamente (sono le 8.00) si apre anche qualche squarcio… meglio così!
La salita facile, esclusa la rampa poco dopo il tornante di S.Uberto, non mi ha stancato. Più che altro il mio ritmo è stato un po' più lento del solito, sia per risparmiarmi per dopo, sia perché probabilmente partendo più presto del solito l'organismo doveva "abituarsi"
Proseguo. Fino a Campo Croce la salita non comporta impegno particolare, in più i turisti cafoni della montagna a fatica zero ancora non ci sono perché le navette partono solo alle 9.00.
Solitario in alle sorgenti del Boite, come piace a me, mi fermo a togliere la maglia più pesante.
Ancora poche centinaia di metri e la salita, un po’ per la pendenza molto di più per il fondo sconnesso, diventa impossibile e mi costringe a scendere.
È la Val Salata che sale portandomi sull’altopiano di Fanes. Secondo me uno dei posti più belli al mondo, peccato sia frequentato in malo modo a causa di un turismo che porta in quota anche chi non riesce a camminare per più di 10 minuti. Fosse per me dovrebbero starsene tutti a casa!
Risalito sulla mia mtb affronto gli ultimi metri di dislivello in salita, di questa salita.
Ecco, freddo e vento. Mi rivesto, sarà la prima di una lunga serie. Controllo anche il cardiofrequenzimetro e sono stato quasi sempre al di sotto della frequenza di soglia. Bene così perché di salita ce n’è un’altra. Si attraversa il confine fra Veneto e Alto Adige. Inizia la discesa, prima tranquilla fino a Fodara Vedla, poi più ripida, fino a diventare un toboga di cemento dove, in casi come questo bisogna fare attenzione perché con la superficie bagnata (ha ripreso a piovere) è molto facile scivolare su queste pendenze davvero notevoli. Nel frattempo ho dovuto mettere anche i guanti lunghi.

Dopo il lago Piciodel la strada sale di nuovo, fino al rif. Fanes - 2008

Lascio il rifugio Pederù alla mia destra e proseguo senza fermarmi in direzione Rif. Fanes., contanto i chilometri che mancano alla fine della salita sul ciclocomputer. Smette nuovamente di piovere ed esce un timido sole. A questo punto una nuova micro sosta è necessaria per spogliarmi di nuovo. I tempi sono buoni e considerando che ho risparmiato forze posso dare gas e tentare il record personale su questo anello. La fatica si fa sentire e questa strada potrebbe ingannare perché non lascia troppe pause. È una salita continua con qualche strappo, solo un breve tratto di falso piano al lago Piciodel. Niente di tecnico, solo forza da misurare o da scaricare sui pedali. Quest’anno l’allenamento per la Dolomiti Superbike ha avuto il suo effetto. Probabilmente avrei potuto affrontare con più ritmo anche la prima salita ma in fondo va bene lo stesso. Supero molti pedoni stanchi, molto più stanchi di me, che mi guardano con sguardi persi nel vuoto. Supero anche qualche mini gruppetto di 2-3 biker che mi lasciano strada. Pur non forzando eccessivamente non riesco ad andare più piano di così.
Alle 10.35 sono al rif. Fanes. La salita non è finita e manca l’ultimo strappo. Spesso il fondo stradale di questo tratto può mettere un po’ in difficoltà ma stavolta a farmi fermare è la pioggia, di nuovo! Quindi riindosso la giacca impermeabile e risalgo in sella. Le roccie rese viscide dall’acqua mi costringono a scendere e risalire più di qualche volta ma il più ormai è fatto. La salita termina assieme alla pioggia ma non c’è tempo di fermarsi di nuovo. Velocemente passo a fianco del lago di Limo e poi proseguo. Devo rivestirmi perché c’è il sole ma è aumentato il vento, giustamente sono in forcella. Inizia così la discesa in val di Fanes, dapprima un po’ tecnica fra sassi di dimensione fastidiosa per le ruote, poi in pietrisco più profondo e maggiormente pendente. Gli incroci con alpinisti e non, a piedi, si fanno più frequenti, così più di qualche volta sono costretto a fermare la mia discesa. Certamente non è pensabile percorrere questi sentieri come fossero single track da downhill ma anche fra i biker c’è chi non ha molta cultura della montagna e così capita sempre più spesso che in questi posti ci sia qualche pazzo che pensa di poterli affrontare a velocità elevata con pericolo per gli altri (soprattutto).

 Il ponte sul Rio di Fanes, a Pian de Loa - 2007
 
Intanto la pendenza diminuisce e si rientra in territorio Cortinese. Ancora qualche rampa e poi si entra definitivamente nel bosco, segno che ci stiamo avvicinando a Fiames.
Le gambe nei tratti tecnici precedenti di discesa cominciano ad accusare un po' la fatica ma in fondo è sopportabile. Il battito cardiaco ormai è da più di 20 minuti che è sceso a ritmi da "riposo".
Ancora 5 minuti e sono a fondovalle. Il più è fatto. Ora restano i 12-13 km che mi separano da casa ma non sono neanche confrontabili ai 40 circa della parte centrale di questo giro. La temperatura, qui a 1300 metri è ormai di 24 gradi e quindi nello zaino finiscono definitivamente i vari indumenti usati per difendermi.
Ormai in rientro, mentre attraverso Cortina, mi suona il cellulare. E' la Canottieri Giudecca... e cosa vogliono? "Pronto? Sì... no, sono in montagna... che corteo? Beh... credo di no! No!... mi ha stufato! No, no... niente ripensapenti! Ok, datemi i nomi, chiamo io, la barca ve la organizzo lo stesso... ma quel giorno io non ci sarò"
Infatti tra 2 domeniche, la domenica della storica, me ne starò lontano, lontanissimo da Venezia e tornerò fra le "mie" montagne, almeno qui mi sentirò più a casa che in mezzo alla confusione remiera che si perpetua ogni anno la prima domenica di Settembre.

In rientro verso S. Vito, a Socol, sul tratto ciclabile nuovo - 2009

domenica 28 novembre 2010

Associazioni sportive o no?

Le associazioni sportive (o pseudo tali) dove si pratica la voga veneta a Venezia sono circa una ventina tra grandi e piccole, diciamo che le maggiori sono circa un quarto o poco più del totale. Non voglio dare cifre esatte per non incappare in errori di “valutazione” sulla definizione di importanza di una società rispetto ad un’altra.
In questo post vorrei soffermarmi a spiegare che cos’è un’associazione di voga alla veneta e come vorrei che fosse.
Sarebbe tutto più semplice se si potesse definirla una società sportiva. Invece bisogna fare delle distinzioni concettuali ben precise.
Tenendo bene a mente cos’è la voga veneta e con quali sfaccettature viene praticata (clicca per aprire il post correlato), un’associazione di voga è il contenitore che raccoglie i vari aspetti di questa disciplina e soprattutto raccoglie le persone che lo praticano.
La maggior parte di queste associazioni non è vincolata a organi nazionali come il CONI o le varie federazioni di canottaggio o di canoa: queste sono le cosiddette “remiere”.
Mentre esistono società sportive vere e proprie che sono iscritte a Federazioni sportive nazionali per sport come il canottaggio, canoa e kayak, vela, canottaggio a sedile fisso etc. etc.
A Venezia le società storiche di canottaggio sono Reale Società Canottieri Bucintoro, Reale Società Canottieri Francesco Querini e Circolo Canottieri Diadora. Molte delle “remiere” sono nate alla fine degli anni ’70, sotto la spinta della Vogalonga, come piccoli nuclei “indipenditisti” di queste società più importanti.
Nel tempo si è aggiunta qualche altra società di canottaggio e le “remiere” si sono ammodernate un po’. Spesso i due settori, voga e canottaggio e o canoa, convivono nelle stesse società creando però a volte dei disguidi “sociali”. Le società affiliate alle federazioni sono obbligate a rispettare norme imposte dal Coni, dalla Federazione di appartenenza e dal ministero dell’Economia, mentre le “remiere” con hanno più elasticità, anche se il loro bilancio devono comunque presentarlo.
Per anni c’è stata molta confusione perché i piccoli nuclei remieri spesso, per ignoranza, non erano a conoscenza degli obblighi che comunque avrebbero dovuto rispettare ma in un modo o nell’altro si è andato avanti comunque.
Parlando da dirigente di una società di voga e canottaggio, l’aspetto più difficile è far capire ai propri soci che il canottaggio è organizzato seriamente. Che ha bisogno di uno stretto rispetto delle regole. Che i propri atleti sono tesserati presso un’unica (e una sola) società, che i propri atleti vogano PER la società, che la divisa sociale in campo di gara è quasi sacra (tanto che se la divisa non è in ordine, o non è quella dichiarata, si rischia anche l’esclusione da una gara). È difficile far capire che gli atleti, pur avendo degli aspetti autonomi nell’allenamento, seguono le indicazioni dell’allenatore e del preparatore atletico e non vogano a casaccio.
Ancor più è difficile far capire questo aspetto a chi pratica le regate di voga alla veneta. Le uniche regate che hanno un’istituzione dietro sono quelle del ciclo delle regate comunali ma non è richiesta un tesseramento o un’iscrizione presso una società di voga. Il risultato è che molti regatanti sono soci in più associazioni sportive e alla fine non vogano per nessuna di esse ma solo per se stessi.
Questo è un aspetto che si trascina dal passato ma sarebbe giusto dare un taglio netto e adeguarsi ai tempi di oggi.
Sarebbe giusto che, come per il canottaggio, un’atleta (e non un “regatante”) fosse iscritto ad una sola società, vogasse PER quella società, la società avesse degli allenatori preparati (ISEF e/o Scienze Motorie) e dei preparatori atletici. Sarebbe anche corretto rivedere il discorso premi e adeguarlo a quello di uno sport federale. Sarebbe probabilmente anche più giusto, per le gare, abbandonare la tradizione e volgere lo sguardo ai nuovi materiali e pensare a dei nuovi scafi, più neutri esteticamente ma più agonistici e leggeri, penso per esempio a barche come le venete ma realizzate in carbonio.
Diciamo che, sempre mia visione personale, sarebbe anche giusto diminuire l’aspetto goliardico che si respira in molte di queste società e dare un tono più pacato e professionale al tutto. Non che mi aspetto di vedere gente in smoking ma un comportamento meno sguaiato sarebbe più opportuno a livello generale.
Insomma io vorrei che la voga agonistica fosse equiparata ad uno sport vero e proprio.
Con questo non voglio che le società “remiere” abbandonino l’aspetto tradizionale, anzi. È giusto tutelare la cultura locale ma è anche opportuno saper guardare al futuro svincolandosi da certe inutili memorie storiche.
Non è con il ricordo di un orgoglio veneziano passato che si può costruire un futuro equilibrato e stabile.

martedì 23 novembre 2010

Un allenamento solitario

Potrei anche dire che si tratta del modo di allenarmi che preferisco. Si tratta del modo di andare in barca che preferisco. Meglio soli che mal accompagnati!

Gli Alberoni a sx e al centro l'ottagono omonimo, in mascareta alla valesana - Novembre 2008

 Ultimi 10 secondi...ancora 7 vogate…ottantotto, ottantanove, novanta, novantuno, novantadue, novantre, deucentonovantaquattro…recupero!
E stavolta le 42 vogate al minuto sono state costanti per tutti i 7 minuti di questo segmento di piramidale, com’è giusto che sia… fa freddo ma non estremamente perché, nonostante sia Febbraio, c’è il sole e la laguna oggi sembra uno specchio. Giro attorno all’ottagono degli Alberoni e torno, verso nord. In fondo, ci sono le montagne imbiancate dalla neve che, anche questo inverno, è stata ed è abbondante. Le montagne ci sono sempre, come è ovvio che sia ma non si vedono sempre e non si vedono così nettamente molto frequentemente. Chissà cosa accade a neanche un centinaio di chilometri da qui? Perché sono qui in barca e non sono lì in montagna? Il primo sabato libero prendo e vado su... Distratto da questi pensieri controllo comunque il cardio frequenzimetro perché è importante che per i prossimi sette minuti mi attesti sui 130 battiti al minuto…bene…Solo qualche giorno prima ero tra quelle vette in una giornata quasi da sogno. Peccato che il rischio valanghe ti riduca le possibilità di muoversi liberamente ma trovo sia una regola della natura. Se la si rispetta si vive, altrimenti si rischia e può capitare di non tornare più a casa.  Anche in laguna valgono certe “regole” ma in montagna, almeno d’inverno, anche quando le condizioni meteo sembrano ottime, bisogna saper leggere lo stato della neve. Bisogna conoscere il luogo e sapere cosa c’è sotto il manto nevoso. Bisogna informarsi e non fare le cose a caso.
Mi distrae da questi pensieri una barca a motore che taglia sopra secca e interrompe la quiete. Che fastidio! Mancano ancora 5 minuti prima di riprendere a vogare forte. Che fastidio! il rumore odioso del motore di quella barca si sente ancora.

Verso il Lago de Rudo, Fanes - Febbraio 2010

Ecco un altro problema: il rumore. Qui come in montagna non cambia più di tanto. Anche ascoltando nel silenzio c’è sempre un rumore di fondo di qualcosa di meccanico. Magari è una cosa lontana e quasi impercettibile ma c’è. Meno male che posso ancora scegliere dove andare. Mi chiedo perché suggerire itinerari sconosciuti e tranquilli ai turisti. Se conosco qualche posto lontano dai luoghi comuni lo tengo per me, sperando che la sua localizzazione si diffonda il meno possibile. E non capisco perché agevolare il turista nel portarlo con i mezzi motorizzati ovunque. Vale qui a Venezia per i turisti con le motonavi, i motobattelli e i taxi; vale in montagna con le varie navette per i rifugi, per non parlare delle motoslitte d’inverno.
Bah! Meglio non pensare più altrimenti il nervoso mi assale. Meglio che mi riconcentri sull’allenamento. Dunque... tra due minuti “riparto”…un controllo, dovrei essere sulle 36 vogate al minuto...vediamo: uno, due, tre..... si tutto ok! Ecco, riparto con altri 6 minuti e mezzo a tutta. Inizia la “discesa”. Per sentire meno la fatica conto le vogate e così controllo che siano sempre 42 al minuto. E all’orizzonte, a fatica o a riposo, lo Schiara e il Civetta fanno da cornice alle mie remate e ai miei pensieri.

Poveglia e sullo sfondo le montagne sopracitate (foto estrapolata da "www.paretiverticali.it")

sabato 20 novembre 2010

Voga Veneta a Venezia

 immagine tratta da "www.altomareblu.com" (ecco un link interessante)

Fin dai primi insediamenti in laguna è ovvio come l’andare in barca sia stata una necessità. Un po’ tutti noi veneziani e non sappiamo che la voga all’inpiedi è nata per far fronte alla necessità di spostarsi in un territorio formato da un continuo scorrere di canali, secche e barene. Immaginabile che le prime imbarcazioni siano state più rudimentali di come le conosciamo. Si spiega il guardare avanti, per controllare meglio la direzione ed eventuali ostacoli, e si capisce anche il fondo piatto delle imbarcazioni, per non restare incagliati nelle secche e, al contempo, per vogare in poca acqua.
La necessità di sviluppare le attività lavorative accompagna lo sviluppo della tecnica di voga. Ove ci fosse la necessità di propellere un’imbarcazione si usavano i remi e/o le vele. Ecco quindi che le attività maggiormente legate all’acqua e al trasporto veloce dei propri prodotti, come la pesca, la caccia e la vendita di prodotti alimentari agricoli hanno portato la voga alla forma attuale. È da aggiungersi giustamente l’attività legata al trasporto di persone in particolar modo quella del gondoliere (spesso chiamato "barcaròl"). È da dire però che nella storia veneziana l’attività del gondoliere o del barcarol non erano così redditizie come lo sono ora.
In questo contesto, dove i remi venivano usati per necessità, è abbastanza ovvio capire che con l’avvento del motore termico, applicato alle imbarcazioni, l’uso lavorativo della voga è andato scemando. Gli indubbi vantaggi della propulsione meccanica hanno ridotto la voga a passatempo salutista salvo per ciò che riguarda la professione del gondoliere.
L’attuale impiego sportivo dei remi ha salvato una parte della tradizione remiera. Tale impulso sportivo è stato dato principalmente dalla Vogalonga a fine anni ’70, stesso periodo nel quale sono sorte le numerose associazioni “remiere”.
Attualmente chi pratica la voga veneta a Venezia non credo abbia le idee molto chiare su cosa sia realmente la voga.
Da un lato ci sono i cosìdetti regatanti che dovrebbero coniugare la voga in modo puramente sportivo e professionale. In realtà pochissimi sono consci di dover essere veri atleti. La visione sportiva è molto legata alla tradizione e ognuno ha la sua particolare concezione tecnico-sportiva-tradizionale di quello che significa vogare ma per questo c’è una spiegazione dettagliata sul post “regate”.
Dall’altra parte ci sono gli amatori che sono molti di più e sono composti da semplici appassionati, ex-agonisti, pseudo agonisti, agonisti saltuari, mangiatori e bevitori, stranieri alla ricerca di un aspetto più vicino ai veneziani, aspiranti gondolieri, scolaresche coinvolte in progetti educativi.
Al giorno d’oggi è utile però fare una riflessione e cercare di capire quale potrà essere il futuro della voga veneta. La mentalità spesso poco avvezza alle novità di noi veneziani non è d’aiuto nel trovare nuove prospettive. Dal mio punto di vista stiamo commettendo l’errore di far evolvere la voga gloriandosi del passato e cercando di copiare l’immagine mentale che abbiamo del passato, immagine che spesso non coincide con la realtà trascorsa.
Non dobbiamo confondere l’aspetto agonistico con l’aspetto diportistico. Anzi sarebbe necessario separare nettamente i due mondi senza lasciare una sorta di limbo nel mezzo fatto di agonisti-diportisti che non saranno mai né agonisti, né diportisti.
Nella mia visione di voga veneta “tradizionale” (ovvero legata alla tradizioni, non sport) vedo di buon occhio l’aspetto conviviale che l’andare in barca porta con sé. Sarebbe opportuno però alzare un po’ il livello culturale medio degli amatori della voga. Molti di quelli io considero realmente amatori (cioè chi non si pensa di far gare) sono in realtà persone spesso culturalmente progredite e consone ad una visione più moderna di voga veneta. Magari una visione meno "veneziana" ma lontana dalla volgarità, dalla sguaiatezza, dall'eccesso e dall'ignoranza che sta mediamente, purtroppo, alla base di questo mondo.

domenica 14 novembre 2010

Regate, la storia e uno sguardo al futuro

Porzione di immagine tratta da una riproduzione dalla veduta a volo d'uccello di Jacopo De Barbari

Per un quadro più completo e meno parziale di quanto sto per dire, vi suggerisco il libro “Regate e regatanti – Storia e storie della voga a Venezia”, Giorgio e Maurizio Crovato, Marsilio, 2004.
L’aspetto della sfida, del voler primeggiare è una caratteristica umana e, pensando alle origini della voga, è pensabile che anche in modo non convenzionato e fuori da ogni schema vi siano state sfide in barca fin dalle origini.
Vorrei non dilungarmi sull’origine delle regate, anche se vi sono molte testimonianze a riguardo, per esempio vedi l’immagine tratta dalla pianta di Jacopo De Barbari del 1500. Vorrei più che altro trasmettere un concetto di fondo che ha sempre accompagnato il senso di regata fino ai giorni nostri.
Le regate, senza una menzione ufficiale per quanto riguarda il passato, sono da sempre state collegate al concetto di festa. Nel concetto un po’ più moderno di regata, i partecipanti rappresentavano una parte di Venezia, un sestiere, un isola. Il tifo era molto più locale di quello che è ai giorni nostri. Era tutto vissuto in modo più vicino alle persone e proprio per questo il clima che si respirava attorno alle gare non è sempre stato sereno. Sono noti infatti, nella storia delle regate, molti episodi violenti e poco sportivi legati allo svolgimento delle gare stesse.
A cavallo fra il XIX sec. e il XX sec. le regate hanno subito dei cambiamenti ma è col secondo dopoguerra che inizia l’avvicinamento al regime attuale. L’avvento dei motori, l’introduzione delle eliminatorie per determinare il ruolo di gara, una trasformazione sociale che porta l’abbandono di molte attività legate al settore primario, la nascita delle “remiere” portano le regate ad avere una organizzazione più simile ad uno sport vero e proprio. I regatanti non sono più legati al territorio, o sono legati ma in modo molto meno forte di un tempo. Casomai dovrebbero essere molto più legati alle società di voga ma mancando una normativa Comunale a tutela dello stretto rapporto che dovrebbe esistere tra regatante e società sportiva, che dovrebbe vincolare strettamente l’atleta ad una sola società con diritti e doveri ben definiti, il regatante alla fine voga per se stesso e certamente non si fa carico (salvo rarissimi casi) di vogare per rappresentare la propria società.
Nella mia idea di regata attuale dovrebbe essere che, quando un equipaggio vince la storica o un’altra regata, passi in secondo piano l’atleta e primeggi la società rappresentata. Insomma l’ultima volta che Giampaolo D’Este e Ivo Redolfi Tezzat hanno vinto la regata storica, quando si allenavano presso la sede della società di cui faccio parte, avrei voluto sentire e vedere scritto: “L’Associazione Canottieri Giudecca vince la regata storica nei gondolini”.
Il problema dei Veneziani moderni è che sono troppo legati all’idea di passato ed è difficile svincolarsene senza far polemica. Un altro problema, più generale dell’uomo, è che sempre meno si sa stare alle regole. Le regole servono a disciplinare il mondo e a non farlo cadere nel caos ma se le regole non si rispettano è anche inutile volerle.
E poi aggiungo un paio di esperienze famigliari, una mi coinvolge in modo più diretto dell'altra.
Ricordo mio nonno, cugino diretto di Piero Penso “Scuciareto” e molto legato a lui, che mi raccontava spesso episodi di regate e regatanti ma al contempo mi avvisava di starne alla larga perché l’ambiente non era un ambiente sano. All’inizio, quando ho cominciato ad affacciarmi al mondo della voga non afferravo le parole del nonno, mi sembrava esagerato e io ero affascinato dal mondo del remo. Col tempo ho capito il significato di quanto affermava; ho capito l’ignoranza che imbeve ancora oggi il mondo della voga.
Altro episodio casalingo, dall’altro capo della famiglia. La mia bisnonna paterna, cugina di Arturo Cucchiero “Scuciaro” pianse disperatamente quando mio padre, intorno ai 25 anni, partecipò ad una regata amatoriale, l’unica della sua vita. Si ricordava di come i suoi zii fossero contrariati dalle frequentazioni legate alla voga del cugino Arturo, degli eccessi che questo mondo si trascinava nella vita di ogni giorno.
Qualcuno leggendo, in particolare questi ultimi due capoversi, potrà sentirsi contrariato da quanto scritto ma nel mio modo di osservare la media dei regatanti odierni non vedo troppe differenze. C’è molto egoismo, c’è un modo poco professionale di rapportarsi al gesto sportivo. C’è l’idea del divertimento dopo regata, delle cene e del bere che stona con l’idea di atleta. Molti probabilmente diranno che non sono atleti.
Allora forse potrei suggerire che le regate puramente sportive prendano una direzione diversa e si stacchino completamente dall’aspetto tradizionale.
Molti diranno che io non ho capito cosa significa “regata” ma io rispondo che se vogliamo portare nel futuro le nostre regate dobbiamo cambiare radicalmente. Il mondo di oggi non tollera più quella sorta di “bullismo” che ha caratterizzato fino ad oggi le regate di voga veneta e, per quanto posso vedere, continua ad impregnarle.