parte superiore: nessuno... durante una mia uscita (archivio personale)
parte inferiore: ingorgo durante la 39° Vogalonga 2013 (da La Nuova Venezia On Line)
Da qualche anno ho capito che la Vogalonga, per com’è oggi, non fa per me. Mi rendo conto che il mio modo di vedere le cose non è condiviso da molti. Non voglio però essere per forza negativo o contrario a questo evento. O almeno credo non abbia senso esserlo. Non vorrei passare per quello che deve per forza avere delle idee diverse, per quello che deve andare contro la massa, non è questo il nocciolo della questione.
In questo blog ho spesso criticato, esponendo delle mie opinioni (non verità assolute, solo mie idee), vari aspetti della voga legati al comportamento delle persone, al rispetto delle norme, agli aspetti morali che spesso latitano in questo ambito sportivo.
La cosa essenziale da accettare è che l’attuale Vogalonga ormai è una manifestazione internazionale amatoriale nell’ambito sportivo ma a questa, per decenza, sarebbe il caso di non assegnare significati diversi da quelli sportivi, soprattutto non è più un richiamo al rispetto verso la laguna, anzi forse è anche questa un segno dell’invasione turistica che noi veneziani subiamo sempre più. Va bene dunque parlare di gemellaggi, di ricorrenze ma sarebbe opportuno darle un nuovo valore, un nuovo significato, diverso da quello delle prime edizioni. Oltretutto la non proprio economica iscrizione (20€ a persona quest'anno per una medaglietta) va un po' oltre lo spirito di solidarietà verso la venezianità tradizionale messa in discussione dalle onde delle barche a motore e fa pensare piuttosto che chi organizza questo evento pensi a guadagnarci qualcosa, tanto quanto fanno le altre categorie che vivono di turismo (qui qualche riferimento alle polemiche sul costo di iscrizione).
All’attivo ho 13 Vogalonghe (o forse 14, non riesco a ricordare con precisione), portate a termine in vari tipi di imbarcazioni Veneziane, in diverse posizioni di voga tra cui anche un paio alla valesana. Le ultime due alle quali ho partecipato (2009 e 2010) hanno segnato un po’ il limite rispetto la mia opinione sul significato di questa manifestazione.
Perché si decide di partecipare ad una manifestazione sportiva/amatoriale com’è la Vogalonga? In primo luogo per curiosità, poi per autocompiacimento, per abitudine, anche probabilmente per una sorta di tendenza al protagonismo. Nel mio caso le prime vogalonghe le ho fatte perché rappresentavano una sorta di prova di forza con se stessi ma in qualche modo certificata e ufficializzata. Successivamente è subentrata l’abitudine, poi una sorta di volontariato per accompagnare chi non avrebbe potuto portarla a termine in solitaria e cercava disperatamente un ultimo uomo per chiudere l’equipaggio o un compagno con cui condividere i circa 30km.
Come dicevo, in particolare nelle ultime due edizioni alle quali ho partecipato, mi sono spesso ritrovato a vogare sempre più negli ingorghi creati nei soliti punti da equipaggi non all’altezza. Vogare e capire che molti vogano pur non avendone le capacità e le conoscenze necessarie per muoversi in laguna mi ha un po’ estraniato da questo contesto di festa generale.
Le prime vogalonghe dovevano sensibilizzare i veneziani rispetto al problema del moto ondoso che già a metà degli anni ’70 cominciava a sentirsi. Ora è chiaro che la Vogalonga non restituisce la possibilità di vogare in tranquillità e senza onde: spesso la parte più complicata di tutta la manifestazione è il rientro verso la propria “base” e di questo aspetto dovrebbero tenerne conto le autorità per il futuro. Una proposta potrebbe essere quella di bloccare la navigazione a motore in tutta la laguna compresa da Burano fino al Lido, passando per il Tronchetto, per tutta la giornata della maratona remiera.
Per rimanere più sul personale, devo dire che non capisco bene il senso di festa che vivono in molti durante questo giorno. Quest’anno sono andato a vedere l’arrivo di qualche decina di imbarcazioni per capire proprio gli stati d’animo. Effettivamente in molti era presente quella caratteristica voglia di far festa che a me proprio non si addice.
Tra le molte persone a terra regnava l’ignoranza assoluta in termini nautici sia locali, sia generali (un esempio su tutti: una signora veneziana che con saccenza spiegava al nipotino che quella barca con 16 vogatori con le pagaie -un dragonboat con un equipaggio ridotto- era una “sedesona”). Però tutto fa brodo e in questa Venezia super sfruttata dal punto di vista turistico, tutto viene macinato e tutto è permesso.
Constatato ciò, mi sono detto ulteriormente soddisfatto di non avervi partecipato.
Dunque, io che posso, la mia vogata lunga posso farla quando voglio, dove voglio, scegliendomi orari e scenari liberi dai motori, o nella “mia” laguna centrale, o tra le barene della laguna nord o spingendomi giù, verso Chioggia, verso le valli da caccia che hanno contraddistinto la giovinezza “remiera” dei miei parenti.
Per me la vera “festa” in termini di voga è il poter andare da solo per la laguna senza possibilmente incrociare nessuno per molte ore. Oppure è il sentire la fatica mentre si sta lottando col cronometro per migliorare il proprio limite. Oppure ancora è il poter osservare il mutare delle condizioni meteo, sapendo che lì, da soli, si è piccoli di fronte alle prove di forza della natura e per questo bisogna rispettarla e non sfidarla inutilmente.
Detto ciò, non escludo che un giorno possa ritornare a solcare le acque della Vogalonga, ma dovrà esserci uno scopo che mi faccia dimenticare il disagio che mi causa il vogare in mezzo ad estranei che non comprendono e non rispettano il significato che può avere la voga per chi l’ha sempre vissuta come un avvicinarsi al proprio territorio con le sole proprie forze.
La cosa essenziale da accettare è che l’attuale Vogalonga ormai è una manifestazione internazionale amatoriale nell’ambito sportivo ma a questa, per decenza, sarebbe il caso di non assegnare significati diversi da quelli sportivi, soprattutto non è più un richiamo al rispetto verso la laguna, anzi forse è anche questa un segno dell’invasione turistica che noi veneziani subiamo sempre più. Va bene dunque parlare di gemellaggi, di ricorrenze ma sarebbe opportuno darle un nuovo valore, un nuovo significato, diverso da quello delle prime edizioni. Oltretutto la non proprio economica iscrizione (20€ a persona quest'anno per una medaglietta) va un po' oltre lo spirito di solidarietà verso la venezianità tradizionale messa in discussione dalle onde delle barche a motore e fa pensare piuttosto che chi organizza questo evento pensi a guadagnarci qualcosa, tanto quanto fanno le altre categorie che vivono di turismo (qui qualche riferimento alle polemiche sul costo di iscrizione).
All’attivo ho 13 Vogalonghe (o forse 14, non riesco a ricordare con precisione), portate a termine in vari tipi di imbarcazioni Veneziane, in diverse posizioni di voga tra cui anche un paio alla valesana. Le ultime due alle quali ho partecipato (2009 e 2010) hanno segnato un po’ il limite rispetto la mia opinione sul significato di questa manifestazione.
Perché si decide di partecipare ad una manifestazione sportiva/amatoriale com’è la Vogalonga? In primo luogo per curiosità, poi per autocompiacimento, per abitudine, anche probabilmente per una sorta di tendenza al protagonismo. Nel mio caso le prime vogalonghe le ho fatte perché rappresentavano una sorta di prova di forza con se stessi ma in qualche modo certificata e ufficializzata. Successivamente è subentrata l’abitudine, poi una sorta di volontariato per accompagnare chi non avrebbe potuto portarla a termine in solitaria e cercava disperatamente un ultimo uomo per chiudere l’equipaggio o un compagno con cui condividere i circa 30km.
Come dicevo, in particolare nelle ultime due edizioni alle quali ho partecipato, mi sono spesso ritrovato a vogare sempre più negli ingorghi creati nei soliti punti da equipaggi non all’altezza. Vogare e capire che molti vogano pur non avendone le capacità e le conoscenze necessarie per muoversi in laguna mi ha un po’ estraniato da questo contesto di festa generale.
Le prime vogalonghe dovevano sensibilizzare i veneziani rispetto al problema del moto ondoso che già a metà degli anni ’70 cominciava a sentirsi. Ora è chiaro che la Vogalonga non restituisce la possibilità di vogare in tranquillità e senza onde: spesso la parte più complicata di tutta la manifestazione è il rientro verso la propria “base” e di questo aspetto dovrebbero tenerne conto le autorità per il futuro. Una proposta potrebbe essere quella di bloccare la navigazione a motore in tutta la laguna compresa da Burano fino al Lido, passando per il Tronchetto, per tutta la giornata della maratona remiera.
Per rimanere più sul personale, devo dire che non capisco bene il senso di festa che vivono in molti durante questo giorno. Quest’anno sono andato a vedere l’arrivo di qualche decina di imbarcazioni per capire proprio gli stati d’animo. Effettivamente in molti era presente quella caratteristica voglia di far festa che a me proprio non si addice.
Tra le molte persone a terra regnava l’ignoranza assoluta in termini nautici sia locali, sia generali (un esempio su tutti: una signora veneziana che con saccenza spiegava al nipotino che quella barca con 16 vogatori con le pagaie -un dragonboat con un equipaggio ridotto- era una “sedesona”). Però tutto fa brodo e in questa Venezia super sfruttata dal punto di vista turistico, tutto viene macinato e tutto è permesso.
Constatato ciò, mi sono detto ulteriormente soddisfatto di non avervi partecipato.
Dunque, io che posso, la mia vogata lunga posso farla quando voglio, dove voglio, scegliendomi orari e scenari liberi dai motori, o nella “mia” laguna centrale, o tra le barene della laguna nord o spingendomi giù, verso Chioggia, verso le valli da caccia che hanno contraddistinto la giovinezza “remiera” dei miei parenti.
Per me la vera “festa” in termini di voga è il poter andare da solo per la laguna senza possibilmente incrociare nessuno per molte ore. Oppure è il sentire la fatica mentre si sta lottando col cronometro per migliorare il proprio limite. Oppure ancora è il poter osservare il mutare delle condizioni meteo, sapendo che lì, da soli, si è piccoli di fronte alle prove di forza della natura e per questo bisogna rispettarla e non sfidarla inutilmente.
Detto ciò, non escludo che un giorno possa ritornare a solcare le acque della Vogalonga, ma dovrà esserci uno scopo che mi faccia dimenticare il disagio che mi causa il vogare in mezzo ad estranei che non comprendono e non rispettano il significato che può avere la voga per chi l’ha sempre vissuta come un avvicinarsi al proprio territorio con le sole proprie forze.