domenica 6 ottobre 2013

Lavori in corso



Come vedete è un po' cambiata la grafica del blog e sono stati riordinati i contenuti nella colonna a lato. A presto altre novità.

Galassi Experience

Arrivando al Rifugio Galassi da Forcella Piccola
 
Si tratta di montagna e non di laguna e, come ho detto spesso, il “fuggire” dall’acqua mi è necessario per ritrovare i miei equilibri. In questa caso è stato un po’ diverso, non mi sono mai sentito così vicino al mondo della voga come durante questa settimana alpina.
Ma andiamo con ordine. L’esperienza citata, peccando di inglesismo nel titolo, è di aver fatto parte di uno dei gruppi che settimanalmente gestisce, in modo del tutto volontario, il rifugio Galassi. Si tratta di un rifugio alpino (ex-caserma), nelle Dolomiti Orientali appena sotto Forcella Piccola, ai piedi dell’Antelao, al confine del Comune di Calalzo a 2038m di quota. Colgo questa occasione anche per ringraziare gli amici del Cai di Mestre per avermi dato questa opportunità.
Tralascio di spiegare la storia del rifugio e altri particolari interessanti che potete trovare sul sito del Cai di Mestre. La cosa importante da sapere è che il rifugio, dagli anni ’70, è gestito da squadre di volontari che si alternano di settimana in settimana, da metà Giugno a metà Settembre. Altra cosa da conoscere è che il Cai è una libera associazione nazionale, suddivisa in sezioni locali. Ogni sezione ha un suo Consiglio Direttivo. All’interno della sezione mestrina esiste quindi un gruppo che organizza i turni di gestione del rifugio e lo mantiene in efficienza. Ogni gruppo della gestione è del tutto autosufficiente, nel senso che è il capo gestione di turno a crearsi la squadra a suo piacimento.
Diciamo quindi che in questa situazione, rispetto alle “remiere”, siamo in una organizzazione ancora più complessa e dove, ovviamente, i rapporti umani sono la base per il funzionamento di tutto il meccanismo.
Nel mio caso era la prima esperienza di questo tipo. Conoscevo più o meno come funzionava la gestione settimanale ma non ne avevo mai fatto parte.
Personalmente mi aspettavo di dover lavorare molto di più sotto l’aspetto manutenzione e trasporto viveri ma così non è stato, grazie anche al lavoro di chi mantiene efficienti le strutture.
Il rifugio è una macchina semplice ma allo stesso tempo molto complessa. Non mi dilungo nella descrizione tecnica ma tra gruppo elettrogeno, batterie, quadri elettrici, impianto antincendio, scale di sicurezza, scambiatori di calore, cucina, legna, teleferica, sorgente d’acqua, piccolo acquedotto, acqua calda, bar, camere, sala da pranzo, bagni, pista da bocce, parete esterna parzialmente utilizzabile come palestra di roccia, collegamento radio, telefono, webcam e banda larga, si può comprendere che non è poi così facile gestire la struttura  nel suo complesso annuale.
 
Il quadro elettrico principale

Ero già stato, per familiarizzare con il funzionamento di tutto l’apparato, in occasione di un intervento di manutenzione (ingrassamento dei cavi della teleferica) ai primi di giugno e devo dire che avevo avuto l’impressione di un gruppo compatto di persone che lavoravano in sinergia tra loro, senza problemi. Devo anche dire che in quell’occasione mi è stato difficile capire come potevo realmente aiutare perché ognuno sapeva già cosa fare e dove andare…  Mi sembrava strano che non vi fossero internamente piccole discrepanze tra i singoli, come mi aveva abituato invece il mondo della voga veneta.
Quando in Luglio sono tornato per la gestione volontaria, ho potuto invece riscontrare che le discrepanze ci sono e purtroppo si sono fatte sentire. Io personalmente non ho avuto motivi per accorgermente dato che forse ero l’elemento più esterno a tutti, nonché l’ultimo arrivato.
Nel caso specifico le piccole incongruenze tra persone sono sorte tra la gestione del rifugio e il gruppo ospite per 5 giorni. Il fatto particolare è che il gruppo era anch’esso appartenente al Cai di Mestre, il gruppo dell’alpinismo giovanile; aggravante alla situazione è che alcune persone tra i vari accompagnatori hanno fatto anche loro parte di settimane di gestione del rifugio stesso, nel corso degli anni.
Ospitare costantemente, per più giorni di seguito, un gruppo di oltre 60 elementi (su 99 posti disponibili), di cui 47 ragazzi in età scolare diversificata, non è di facile gestione soprattutto (ed essenzialmente) per quanto riguarda gli spazi nella sala da pranzo (di fatto non ci stavano perché la sala è fatta per ospitare un numero inferiore di persone). Questo implica un grosso lavoro perché poi ci sono da servire anche gli ospiti giornalieri. E non si può differenziare troppo il trattamento tra questi e quelli ma bisogna garantire uno standard abbastanza uniforme. Bisogna spiegare agli ospiti di arrivare dopo una certa ora in sala da pranzo, bisogna limitare il tempo durante il quale la sala viene occupata. E la cucina lavora molto intensamente.
In sintesi, mi sembra che il problema principale per la gestione sia stato limitato a quanto descritto qui sopra ma nel complesso io ritengo che sia il gruppo dell’Alpinismo Giovanile, sia il gruppo di gestione di cui facevo parte abbiano saputo gestire la cosa, anche se è stato necessario qualche chiarimento iniziale. Dal mio punto di vista quindi tutto bene anche se credo la cosa abbia lasciato qualche strascico dentro la sezione di Mestre e questo personalmente mi rammarica perché la responsabilità di malfunzionamenti ricade sul capo gestione della settimana. In questo caso mi sento di dire che non è certamente colpa del responsabile di turno se a qualcuno sono saltati i nervi per non so quali implicazioni personali.
Tra l’altro non so neanche dire quale sia stato l’episodio o i singoli episodi che possano aver lasciato un po’ di acredine in una delle due parti.
Come accade anche nelle associazioni di voga veneziane, questi episodi mi lasciano un senso di malinconia e allo stesso tempo impotenza, perché è proprio dove tutto funziona col volontariato che frangenti di questo tipo si ingigantiscono e a volte poi marchiano le persone nel tempo magari nel modo errato.
Ecco quindi che nell’uscire da quella settimana mi è rimasto il ricordo di un’esperienza molto valida ma allo stesso tempo ho ritrovato le medesime criticità che sono alla base della gestione delle associazioni veneziane di voga.
In questo caso la soluzione sarebbe semplice ma non tutti riescono a sopprimere il proprio ego. Ognuno di noi, dovrebbe cedere un po’ le sue posizioni per lasciare spazio anche agli altri, magari spiegando le sue ragioni, ma senza portarsi dietro un sentimento di rivalsa verso il proprio “avversario” del momento. Ovvio che chi insiste troppo con le proprie idee in questi casi provoca un scissione.
Per quanto riguarda me, a fine settimana ero comunque molto contento di essere stato lontano da Venezia nella serata più rumorosa dell’anno, la notte che precede la domenica del Redentore.

La sala da pranzo, un po' difficile riuscir a far stare circa 55 persone qui dentro!

 
Il post, potrebbe chiudersi qui ma invece continuo lasciando alcune mie impressioni pratiche sulla mia esperienza, dal punto di vista più alpinistico.
Mi aspettavo che la gestione di un rifugio alpino fosse molto più spartana e non invece più simile all’esperienza che si può maturare in un ostello o in un bar/ristorante. Sarà perché condizionato dal fatto che quando io mi fermo in qualche rifugio, penso non a mangiare ma a nutrirmi, non a rilassarmi ma a dormire lo stretto necessario per fare ciò che ho in programma il giorno dopo. Tra l’altro anche facendo così riesco a rilassarmi comunque senza problemi, anche se mi siedo su un sasso, sull'erba, anche se l’acqua è fredda etc. etc…
Nello specifico, ricordando altre notti passate da ospite in altri rifugi, pensavo che ci fosse un rispetto quasi militare degli orari di chiusura del gruppo elettrogeno, dell’uso della corrente elettrica, dell’uso dell’acqua (docce). Invece non è così, i rifugi (e il Galassi è forse uno dei più spartani) oggi giorno tendono a voler coccolare i propri ospiti con pranzi che strizzano l’occhio a quello dei ristoranti, possibilità di usare sdraio, tavoli all’aperto, colazioni tipo pensione… ecco io non sono per tutto ciò. Io non tratterei male gli ospiti ma certamente li accoglierei in un ambiente spartano e con molti limiti.
Non mi permetto di criticare nessuno a priori, posso solo esprimere il mio stupore nel constatare che l’attività dell’Alpinismo Giovanile (tra l’altro attività molto valida quella che svolgono alla sezione di Mestre) oltre ad occuparsi dell’andare in montagna, non si preoccupasse di limitare con severità l’uso dell’acqua (docce), di non usare il phon e limitare in generale l’uso di corrente elettrica, di accontentarsi del cibo disponibile (accontentarsi di quello che c’è e soprattutto MANGIARE TUTTO ANCHE QUELLO CHE NON È DI PROPRIO GRADIMENTO). Credo che se qualche ragazzino fosse rimasto senza fare la doccia o senza asciugarsi i capelli col phon non sarebbe certo morto. Io personalmente, in una settimana di gestione ho fatto una (mezza) doccia e per il resto mi sono lavato “a pezzi”, il phon non lo uso neanche a casa pur non avendo i capelli cortissimi… e la cosa fenomenale è che sono ancora qui a raccontarlo!! Ovviamente se quello era lo standard di comportamento previsto non posso fare che adeguarmi e dire che sono stati alle regole, ma questo non posso saperlo. E comunque a me non piace moltissimo.
Ecco, insomma, andare in montagna non significa solo essere bravi scalatori, bravi escursionisti o ecologisti a parole ma dal mio punto di vista bisognerebbe tenere dei comportamenti adeguati e coerenti a quello che è l’approccio alpinistico all’ambiente, imparando a limitare anche se stessi in funzione di quello che si va a fare.
D’accordo che il rifugio non è un bivacco ma non si può neanche pensare di tenere acceso il gruppo elettrogeno per 10 ore al giorno perché qualcuno può restare senza latte il giorno dopo o perché qualche altro deve asciugarsi i capelli.
Questa è chiaramente la mia opinione. Non sono ovviamente a conoscenza di eventuali accordi presi in precedenza e quanto scritto si limita all’osservazione dei fatti mentre si compievano.
Infine tiro le somme della mia esperienza dicendo che mi sono adattato il più possibile a fare anche ciò che non ero in grado di fare (come servire ai tavoli o al bar) ma grazie a questa settimana ho capito altri miei limiti che non conoscevo. Non posso dimenticare di citare, pur senza fare nomi in questo blog, le persone con le quali mi sono trovato assieme nella gestione del rifugio che hanno lavorato sempre al massimo, specialmente la cucina e che mi hanno insegnato a fare ciò che non ero in grado, insegnamenti arrivati direttamente o indirettamente anche da chi come me era alla prima esperienza ma aveva già lavorato in contesti simili. E tra queste persone magari ho trovato qualche nuova amicizia.

mercoledì 4 settembre 2013

La normalità (a volte capita)

Quest'anno per vari motivi, per la prima volta, ho visto la regata storica da fuori Venezia, in televisione.
Per vari motivi, in questo periodo, non sono a contatto diretto con i retroscena della voga e quindi sono un po' tagliato fuori dalle, anche lievi, polemiche che normalmente scaturiscono da questo evento.
Posso però finalmente essere soddisfatto di ciò che ho visto e di ciò che si è sentito (o meglio non si è sentito) nei giorni successivi.
Da quello che si è visto in televisione direi che, a parte un episodio nella regata delle donne al giro del palo, tutto è stato come dovrebbe sempre essere.
In particolare ho molto apprezzato il giro del palo dei gondolini, un giro perfetto per le prime due coppie affiancate.
All'arrivo poi anche le parole pubbliche dei vincitori sono state di lealtà sportiva, come dovrebbe sempre essere.
Chiaro che qualche toccatina di remo contro scafo o remo contro remo potrebbe anche esserci stata ma tutte entro i limiti di quello che dovrebbe essere il normale agonismo di queste regate.
Auspico quindi che questo clima favorisca il dialogo non solo tra i regatanti, ma anche tra regatanti e autorità locali, per trovare un nuovo equilibrio in questo strano e complesso mondo della tradizione remiera veneziana.
Non ho altro da scrivere dato che, per una volta ogni tanto, mi sembra che i vari attori di questa regata abbiano fatto il loro dovere. Insomma, finalmente tutto nella norma.

martedì 2 luglio 2013

Machismo al maschile e machismo al femminile


Per togliere ogni dubbio, sarà anche banale specificarlo, si legge “macismo” e non ha niente a che fare con soprannomi di regatanti o altre persone. Giusto per far capire che è un discorso generico. Parlo poi di machismo al femminile perché anche nell'universo rosa ci sono comportamenti che vanno a rasentare il ridicolo. Diciamo che in questo caso il machismo al femminile è un eufemismo per intendere comportamenti da "poco di buono"; cosa che, se fatta dai maschi in versione maschile (vantarsi della propria virilità), è erroneamente scambiato come un comportamento "normale" dalla maggior parte dei maschi stessi. 
A volte capita di trovarsi a vedere situazioni particolari. Qualche giorno fa’ ero spettatore di uno di questi degradanti momenti. Direi che il tutto era deprimente, piuttosto che imbarazzante o particolare.
L’aspetto più interessante di questa situazione è che se da un lato avrei voglia di raccontare al mondo ciò che ho visto per far capire la piccolezza di certi contesti, dall’altro credo sia meglio tacere e andare oltre. Non ne vale la pena.
Sono convinto che luoghi e contesti pubblici, di socialità, di formazione, di sport siano deputati univocamente a comportamenti moralmente ineccepibili; in altri luoghi privati (privati e personali) ognuno può decidere cosa fare, sempre consci però del ruolo che ognuno di noi può avere nei confronti della società civile. Di conseguenza credo che anche nella vita privata vada mantenuta una certa coerenza morale. Quest’ultima parte ovviamente è generica e in questo caso specifico credo non conti molto.

Quindi ognuno faccia le proprie riflessioni, tragga le proprie conclusioni e poi decida come comportarsi in futuro.

sabato 29 giugno 2013

Appercezione Trascendentale

Nuovamente solo sulla mia barca, nuovamente e fortunatamente solo in una laguna silente e piatta. Questa pausa dalla confusione e dai fatti contingenti mi si è resa necessaria per far quadrato attorno a me stesso, per razionalizzare, o cercare di farlo, un momento un po’ difficile e diverso da tutto ciò che potevo aspettarmi fino a quel momento, anche se fortunatamente tutto è andato molto meglio di quanto poteva accadere. Un’uscita quindi al mattino presto, alle 5.30, appena dopo l’alba, se non ancora durante la fuoriuscita del sole dall’orizzonte, almeno quello fasullo delle costruzioni umane.


Per rispetto alla laguna ho spento subito il mio 8 cavalli: col rumore infatti, oltre che infastidire ambiente e fauna, avrei dato fastidio a me stesso. Niente vento e quindi niente vela, restava quindi il buon vecchio remo. Ed eccomi quindi a vogare e, inizialmente, nessun pensiero, solo ad osservare l’acqua, il cielo, l’orizzonte, le isole, le alghe, le bricole, la secca. Poi man mano che il tempo passava i primi pensieri, anzi ricordi del passato, ricordi piacevoli ma anche qualche ricordo un po’ doloroso. Ad un certo punto anche i ricordi hanno lasciato spazio ai ragionamenti. Per non so quale motivo pensavo alla grandezza dei matematici, fisici e filosofi che tra 1700 e 1800 hanno gettato le basi della matematica che fa dannare gli studenti di facoltà scientifiche come matematica, fisica, ingegneria e non solo. Ecco quindi Laplace, Lagrange, Taylor, Newton… per citarne qualcuno dei più noti che mi sono sovvenuti. Proprio pensando a Laplace, ricordavo il fatto che lo stesso matematico riprese una teoria sulla cosmogenesi formulata dal filoso Prussiano Immanuel Kant. E su Kant il mio pensiero si è fermato, perché ho potuto trovare la soluzione analitica a ciò che mi stava mettendo in difficoltà. Ricordando a spanne il percorso filosofico di Kant, da ciò che ho studiato alle superiori, non si può non dimenticare quello che è considerata la sua opera principale, ovvero la “critica della ragion pura” del 1781. In particolare è la ricerca di una correlazione tra metafisica e scienza che in questo caso serve anche a me a mettere ordine fra la realtà dei fatti scientifici e quei fatti imponderabili (che qualcuno chiama anche destino) che non ci si sa spiegare perché possano accadere. In realtà l’analisi di Kant va ben oltre il mio “problema”. Tralascio in questo post tutta la sintesi del pensiero kantiano, in particolare com’è sviluppata la “critica della ragion pura” (per approfondire clicca qui il link su wikipedia); in questo caso a colpirmi è la ricerca che Kant attua per darsi una spiegazione sul fatto che la natura sembri seguire delle regole necessarie andando a farle combaciare a quelle del nostro intelletto. Alla luce di quanto vissuto il giorno prima, mi chiedo anch’io come uno scienziato o l’uomo in generale, possa affermare di conoscere scientificamente la natura, definendo quindi delle leggi specifiche; cioè di come la scienza riesca a trovare sempre (o quasi) una spiegazione plausibile a ciò che ci accade (per esempio nel campo della medicina).
Per giustificare questo ragionamento Kant usa l’appercezione trascendentale, cioè quel concetto più conosciuto proprio in Kant come “io penso”. Ovvero, riassumendo molto, che il poter dare delle rappresentazioni del mondo è dovuto alla nostra coscienza di essere dei soggetti pensanti. In pratica cioè che un oggetto è tale solo se rapportato ad un soggetto.

Personalmente trovo che questa spiegazione filosofica della realtà (e della realtà scientifica in particolare) sia la miglior spiegazione razionale che possiamo darci quando non sappiamo definire ciò che sembra scardinare la nostra realtà ben definita e razionale. In pratica, sempre secondo pensiero di Kant, pur conscio che l’”io penso” non può modificare la realtà ma solo analizzarla, la mancata unione tra oggetto (fatto) e soggetto (io) porta all’incomprensione dei fenomeni. È quello che accade quando l’emotività ci fa rompere il legame tra noi (soggetto) e quello che ci accade (oggetto): tutto si allontana dalla nostra portata e la realtà ci sembra incontrollabile. La riflessione e il silenzio, il movimento e lo sforzo fisico invece ci possono riportare a riprendere il controllo di noi stessi e quindi a ricostruire il legame tra soggetto e oggetto.

martedì 21 maggio 2013

Vogalonga internazionale

parte superiore: nessuno... durante una mia uscita (archivio personale)
parte inferiore: ingorgo durante la 39° Vogalonga 2013 (da La Nuova Venezia On Line)

Da qualche anno ho capito che la Vogalonga, per com’è oggi, non fa per me. Mi rendo conto che il mio modo di vedere le cose non è condiviso da molti. Non voglio però essere per forza negativo o contrario a questo evento. O almeno credo non abbia senso esserlo. Non vorrei passare per quello che deve per forza avere delle idee diverse, per quello che deve andare contro la massa, non è questo il nocciolo della questione.
In questo blog ho spesso criticato, esponendo delle mie opinioni (non verità assolute, solo mie idee), vari aspetti della voga legati al comportamento delle persone, al rispetto delle norme, agli aspetti morali che spesso latitano in questo ambito sportivo.
La cosa essenziale da accettare è che l’attuale Vogalonga ormai è una manifestazione internazionale amatoriale nell’ambito sportivo ma a questa, per decenza, sarebbe il caso di non assegnare significati diversi da quelli sportivi, soprattutto non è più un richiamo al rispetto verso la laguna, anzi forse è anche questa un segno dell’invasione turistica che noi veneziani subiamo sempre più. Va bene dunque parlare di gemellaggi, di ricorrenze ma sarebbe opportuno darle un nuovo valore, un nuovo significato, diverso da quello delle prime edizioni. Oltretutto la non proprio economica iscrizione (20€ a persona quest'anno per una medaglietta) va un po' oltre lo spirito di solidarietà verso la venezianità tradizionale messa in discussione dalle onde delle barche a motore e fa pensare piuttosto che chi organizza questo evento pensi a guadagnarci qualcosa, tanto quanto fanno le altre categorie che vivono di turismo (qui qualche riferimento alle polemiche sul costo di iscrizione).
All’attivo ho 13 Vogalonghe (o forse 14, non riesco a ricordare con precisione), portate a termine in vari tipi di imbarcazioni Veneziane, in diverse posizioni di voga tra cui anche un paio alla valesana. Le ultime due alle quali ho partecipato (2009 e 2010) hanno segnato un po’ il limite rispetto la mia opinione sul significato di questa manifestazione.
Perché si decide di partecipare ad una manifestazione sportiva/amatoriale com’è la Vogalonga? In primo luogo per curiosità, poi per autocompiacimento, per abitudine, anche probabilmente per una sorta di tendenza al protagonismo. Nel mio caso le prime vogalonghe le ho fatte perché rappresentavano una sorta di prova di forza con se stessi ma in qualche modo certificata e ufficializzata. Successivamente è subentrata l’abitudine, poi una sorta di volontariato per accompagnare chi non avrebbe potuto portarla a termine in solitaria e cercava disperatamente un ultimo uomo per chiudere l’equipaggio o un compagno con cui condividere i circa 30km.
Come dicevo, in particolare nelle ultime due edizioni alle quali ho partecipato, mi sono spesso ritrovato a vogare sempre più negli ingorghi creati nei soliti punti da equipaggi non all’altezza. Vogare e capire che molti vogano pur non avendone le capacità e le conoscenze necessarie per muoversi in laguna mi ha un po’ estraniato da questo contesto di festa generale.
Le prime vogalonghe dovevano sensibilizzare i veneziani rispetto al problema del moto ondoso che già a metà degli anni ’70 cominciava a sentirsi. Ora è chiaro che la Vogalonga non restituisce la possibilità di vogare in tranquillità e senza onde: spesso la parte più complicata di tutta la manifestazione è il rientro verso la propria “base” e di questo aspetto dovrebbero tenerne conto le autorità per il futuro. Una proposta potrebbe essere quella di bloccare la navigazione a motore in tutta la laguna compresa da Burano fino al Lido, passando per il Tronchetto, per tutta la giornata della maratona remiera.
Per rimanere più sul personale, devo dire che non capisco bene il senso di festa che vivono in molti durante questo giorno. Quest’anno sono andato a vedere l’arrivo di qualche decina di imbarcazioni per capire proprio gli stati d’animo. Effettivamente in molti era presente quella caratteristica voglia di far festa che a me proprio non si addice.
Tra le molte persone a terra regnava l’ignoranza assoluta in termini nautici sia locali, sia generali (un esempio su tutti: una signora veneziana che con saccenza spiegava al nipotino che quella barca con 16 vogatori con le pagaie -un dragonboat con un equipaggio ridotto- era una “sedesona”). Però tutto fa brodo e in questa Venezia super sfruttata dal punto di vista turistico, tutto viene macinato e tutto è permesso.
Constatato ciò, mi sono detto ulteriormente soddisfatto di non avervi partecipato.
Dunque, io che posso, la mia vogata lunga posso farla quando voglio, dove voglio, scegliendomi orari e scenari liberi dai motori, o nella “mia” laguna centrale, o tra le barene della laguna nord o spingendomi giù, verso Chioggia, verso le valli da caccia che hanno contraddistinto la giovinezza “remiera” dei miei parenti.
Per me la vera “festa” in termini di voga è il poter andare da solo per la laguna senza possibilmente incrociare nessuno per molte ore. Oppure è il sentire la fatica mentre si sta lottando col cronometro per migliorare il proprio limite. Oppure ancora è il poter osservare il mutare delle condizioni meteo, sapendo che lì, da soli, si è piccoli di fronte alle prove di forza della natura e per questo bisogna rispettarla e non sfidarla inutilmente.
Detto ciò, non escludo che un giorno possa ritornare a solcare le acque della Vogalonga, ma dovrà esserci uno scopo che mi faccia dimenticare il disagio che mi causa il vogare in mezzo ad estranei che non comprendono e non rispettano il significato che può avere la voga per chi l’ha sempre vissuta come un avvicinarsi al proprio territorio con le sole proprie forze.

martedì 14 maggio 2013

Inizio sì, inizio no.

La gondola bianca taglia il traguardo per prima a S. Nicolò, io invece  me ne ritorno verso casa, a piedi, con un cielo minaccioso che sta scaricando acqua a poco più di dieci chilometri da Venezia. La prima regata delle stagione 2013 è già conclusa e tutto è filato liscio. Dal punto di vista agonistico la gara è andata come me l’aspettavo: due barche superiori alle altre, un equipaggio formato da giovani sotto la scuola di un super-veterano delle regate comunali e poi gli altri, chi prima, chi dopo ma più o meno me l’ero prefigurata in quell’ordine.
Ora, chi può farlo, si prepara alla regata di S. Erasmo. Tutto nella norma apparentemente. In realtà quest’anno la regata della Sensa è stata in forse a causa di una situazione che si protrae da lungo tempo. Da un lato il Comune che si vede costretto a far quadrare i bilanci tagliando le spese superflue, dall’altro i regatanti che chiedono più attenzione e più soldi.
Problema fastidioso questo perché chi non conosce  la voga agonistica veneziana trova ovvio che si taglino spese non essenziali, mentre  chi voga in queste regate vorrebbe più soldi a controbilanciare il tempo e il denaro dedicati alla preparazione per queste gare.
Da anni il Comune ha promesso di trovare risorse, sponsor privati ed altre soluzioni per far fronte a queste spese e, da qualche anno, prima dell’inizio della stagione ci si ritrova con premi ridotti, proteste varie. Quest’anno il comune si è spinto un po’ oltre andando a tagliare la regata di Malamocco (su caorline per gli uomini e su mascarete per le donne), ha spostato la regata di Mestre (che apriva la stagione) a fine settembre. Per recuperare una regata femminile ha inserito le mascarete alla regata della Sensa… insomma cambiamenti che hanno preoccupato i regatanti, già alle prese con novità, dopo l'elezione del direttivo della loro associazione.
Quest’anno a pochi giorni dal via della stagione, dal Comune non erano state date le sufficienti garanzie per garantire lo svolgimento regolare della stagione e per questo motivo si prospettava uno sciopero dei regatanti. Sciopero disdetto proprio al sabato dopo un incontro col sindaco e altri responsabili che ha dato le garanzie necessarie. Io personalmente non ero presente a questo incontro ma ho l’impressione che sul tavolo attualmente non ci sia nulla di fatto e che anche modificando il regolamento delle gare per permettere la presenza di sponsor non si riesca a ottenere finanziamenti sufficienti. E ho come l’impressione che, per quanta buona volontà ci sia da parte delle istituzioni, poco potranno fare.
Il problema è quindi complesso perché se è vero che i regatanti vogano per passione, c’è da dire che più forti sono, più sono legati all’aspetto del premio monetario. Tanto che mentre i cosidetti "campioni" hanno da regolamento dei premi, i regatanti minori (la serie B cosidetta) voga per una medaglietta d’oro. Personalmente, se mai tornassi a vogare, vogherei anche per nulla perché la passione dal mio punto di vista è essenzialmente questo. Diciamo che ancor prima del budget per i premi i regatanti dovrebbero risolvere la questione relativa a trattare tutti i regatanti di tutte le categorie allo stesso modo o comunque riconoscere lo sforzo dell’allenamento anche a chi non riesce a primeggiare nella massima categoria.
C’è però da riconoscere un aspetto fondamentale. Le regate di voga alla veneta non sono gestite dall’assessorato allo sport ma da quello al turismo (e tutela delle tradizioni). Quindi se si debbono tutelare delle tradizioni non si può pretendere che si metta in piedi un apparato in modo totalmente volontario.
Siccome questo aspetto è simile ad altre manifestazioni popolari, mi sono informato su come funzioni il Palio di Siena: le singole contrade hanno un budget di circa 200.000€ all’anno, fornito essenzialmente da privati. Le contrade in tutto sono 17.
Questo aspetto a Venezia non è pensabile perché i tempi sono cambiati da quando c’erano rivalità fra sestieri, la gente col tempo si è “mescolata”. Non è neanche fattibile attualmente una gestione che faccia riferimento alle singole società sportive perché i regatanti spesso vogano contemporaneamente in più di una società, diciamo che essenzialmente vogano per se stessi. Attualmente credo che chi può far molto per trovare una soluzione in accordo con le autorità competenti sia proprio l’associazione regatanti. Col nuovo direttivo credo che possano fare un bel salto in avanti. Il primo segnale di una svolta credo sia il fatto che stiano cercando di affiliarsi al CONI tramite un ente di promozione opportuno. Insomma, una visione più sportiva e inquadrata nelle norme. Che sia finalmente il punto di svolta per la voga veneta agonistica?
 
PS: per chi non lo sapesse, per “voga veneta agonistica” intendo solo ed esclusivamente quella delle regate Comunali di Venezia. Le regate sociali e intersociali e altre forme di regata non formalmente canonizzata, sempre in ambito prettamente Veneziano, dal mio punto di vista rientrano nell’aspetto amatoriale e dilettantistico.


lunedì 11 marzo 2013

Regata delle donne 2013

Volevo trattenermi dall'esprimere le solite idee personali ma proprio non ci riesco. Se leggete la cronaca della gara sul blog Remiera Casteo vi sembrerà che l'evento tutto sia stato la perfezione assoluta. Se guardate il servizio del TGR VENETO altrettanto vi sbrodolerete in sentimenti che vanno dal coraggio alla forza, dall'amore alla solidarietà.
Io invece vorrei mettere il punto su due piccole questioni che non vengono considerate, se non da chi ne subisce gli effetti. Premetto che risulterò essere il solito estremista ed esagerato.
1- Di fatto l'anno scorso mi lamentavo del comportamento delle barche al seguito (cliccate qui per aprire il vecchio post). Quest'anno è stato lo stesso indecoroso spettacolo, forse anche peggiore. Anche quest'anno guidavo una delle due barche della giuria, quella che seguiva la testa della gara. Attorno a me c'erano una decina o poco più di imbarcazioni che evidentemente pensavano di far parte dell'organizzazione e/o si sentivano autorizzati a scorrazzare un po' dappertutto. Cinque di queste, in particolare, hanno veramente dato un fastidio particolare anche al sottoscritto che non riusciva a posizionarsi dove voleva per evitare di fare moto ondoso alle caorline in gara. Peccato soprattutto che uno di questi sia anche un regatante di alto livello che considero (consideravo evidentemente) migliore di molti altri dal punto di vista umano e sportivo. Mi rivolgo direttamente a tutte le imbarcazioni che hanno devastato il campo di gara con la loro presenza in movimento: siete stati fortunati che non avevo la possibilità di speronarvi o silurarvi perché l'avrei fatto volentieri.
 
Foto originale C. DeNardis, elaborazione personale: scusate l'imperfezione nella ricostruzione dei dettagli e dell'orizzonte, per facilità ho anche eliminato l'imbarcazione più alta presente nell'immagine che invece è normalmente ormeggiata in quel tratto di laguna

Ovviamente quest'ultima frase è un po' una provocazione ma rende l'idea dei miei sentimenti. Queste alla fine non sono cose di primaria importanza per cui da oggi me ne torno nel mio mondo fatto di persone molto diverse da quelle incrociate ieri.
L'amarezza nel vedere che ogni anno i comportamenti sono sempre uguali un po' di fondo mi resta. Come si può paragonare quello di ieri ad un evento sportivo se i princìpi fondamentali sono stati traditi da comportamenti antisportivi anche da parte del pubblico?
Dal mio punto di vista le regate vanno osservate o con altre imbarcazioni a remi (senza però ostacolare la regata e la giuria) oppure ormeggiando, ancorando il proprio bolide-provoca-onde e accontentandosi di guardare una piccola porzione soltanto. Vi ricordate le gare dell' Americas Cup World Series dell'anno scorso? Il pubblico doveva rimanere fermo. Ecco, per me lo stesso comportamento dovreste tenerlo anche voi tifosi delle regate veneziane (qui una mia vecchia idea).
Per completezza, c'è anche da dire che era presenta anche un taxi con operatori della RAI. Dal mio punto di vista anche quell'imbarcazione doveva coordinarsi con l'organizzazione e restare in appositi spazi stabiliti dagli organizzatori stessi. A metà regata, taxi e altre imbarcazioni correvano nel campo di regata stesso davanti alle barche più lente.
 
2- All'inizio ho scritto che le questioni da analizzare sono due. Qual è la seconda? È l'altra solita questione delle regate di questo tipo: la partenza. Partenza senza cordino. Io so benissimo che bisogna avere un po' di "mestiere" nell'allinearsi. Non significa però che lo scopo sia quello di partire più avanti degli altri. L'abilità sta nel posizionarsi nel modo più corretto possibile e nel più breve tempo possibile considerando corrente e vento che ti spostano. L'abilità sta anche nel saper dare qualche vogata all'indietro. Ieri probabilmente le donne non erano molto abili perché moltissimi equipaggi, ai richiami del giudice di "stare fermi", continuavano a vogare. Mi pareva semplice, bastava allinearsi con la linea che fornivano alcune bricole ma la sola preoccupazione era quella di non partire più indietro delle avversarie. In pratica mi sembrava di assistere ad una scena da età scolare, dove non si è capaci di controllare se stessi ma ci si regola su ciò che fanno gli altri, per non essere inferiori agli altri. Bell'esempio di sportività! Bell'esempio anche il fatto di prendersela col giudice, bell'esempio il continuare a vogare anche quando il giudice ha annullato una delle partenze.

Questi fatti dal mio punto di vista sono molto più gravi della gioia e dello sforzo profuso che si esaltano a fine gara.
La mia proposta al comitato organizzatore è di inserire nel regolamento un articolo che preveda l'annullamento della regata dopo, per esempio, tre partenze false. Certo ne rimetterebbe anche l'organizzazione stessa ma sarebbe un segnale forte. Resta da risolvere il problema "barche al seguito" che a questo punto opterei per risolvere allo stesso modo: annullamento della gara qual'ora vi siano imbarcazioni a motore in movimento entro 300 metri dal campo di regata.

sabato 23 febbraio 2013

La normalità sconosciuta

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Dalla pubblicazione di questo post di Remiera Casteo sulla carriera nella voga di Giuseppe Schiavon “Bufalo” è passato un po’ di tempo. Mi era stato chiesto dall’autore del blog appena citato di unirmi ai vari messaggi nei commenti.
Non trovavo sinceramente una motivazione valida per farlo. È ovvio che riconosca i suoi meriti sportivi. È altresì ovvio che riconosca il suo valore come persona. In questo senso mi sembrava banale commentare. Essendo anche conosciuto in questo contesto sinergico web-voga, mi pareva di essere il solito “presenzialista”, considerando anche il fatto che sarebbe stato l’ennesimo commento fotocopia. Allo stesso modo mi sembrava di fare “l’originale per forza” se avessi scritto qualcosa di diverso.
Giuseppe Schiavon personalmente non l’ho conosciuto, credo di averlo visto presso la sede dell’Associazione Canottieri Giudecca in non so che occasione. Per il resto le sue gesta mi sono note per i racconti diretti di mio nonno (ricordo: primo cugino di Piero Penso “Scuciareto”) che individuava proprio in lui la figura “moderna” del regatante e vero atleta, a differenza di altri regatanti, pur campioni ma non propriamente atleti.
Leggendo i commenti all’articolo di Massimo Veronese, quello che più mi ha sorpreso è il fatto che molti abbiano sottolineato questa frase:
 “Un po' di fortuna e cattiveria in più, unite a qualche scorrettezza ben dosata e "sopportata" dai giudici a mo' di aiutino sarebbero state utili per regalarmi maggiori soddisfazioni...ma tutto ciò non faceva parte della mia indole”.
Io non trovo questo aspetto così strano. Trovo piuttosto strano che si possa definire una scorrettezza “ben dosata e sopportata dai giudici”. Una scorrettezza è una scorrettezza e come tale deve essere punita. Ovviamente capisco bene che Schiavon si riferisca alle abitudini di quella volta che forse non sono così cambiate nel contesto delle regate comunali.
D’altra parte un campione di canottaggio come lui doveva e deve ben conoscere i valori dello sport.
Questo aspetto mi riporta quindi alle mie, quasi infinite, considerazioni sui valori della sportività che sono perle rare nel mondo della voga veneta tradizionale.
Dalle parole di Schiavon si riesce quindi a capire come la voga veneta non sia mai stata considerata una disciplina sportiva per come la intende un comitato olimpico o una federazione sportiva. Soprattutto stona il fatto che i valori normali dello sport, nel contesto della voga veneziana, siano se non proprio sconosciuti, un po' "rivisitati" secondo i propri interessi personali.
Diciamo che commentando da “foresto” questa osservazione, si può senza remora affermare che la voga veneta soffre di un provincialismo intrinseco a quello che è il modo di vivere e di pensare di molti veneziani.
Anche in questo senso Schiavon ha la mia ammirazione perché ne è evidentemente al di fuori. Un veneziano che sceglie la bicicletta come passatempo è se non “diverso” quantomeno un veneziano un po’ anomalo. Anomalie di questo tipo fortunatamente ce ne sono più di quante si possa pensare e ne so qualcosa anch’io.

Aggiungo una nota su una correzione grammaticale: nella citazione che ho copiato non mi ero accorto che la parola po' era in realtà scritta erroneamente pò. Noto che errori di questo tipo sono molto frequenti, purtroppo; tra l'altro comunicano un senso di mancanza di attenzione verso la nostra cultura letteraria. L'apostrofo sostituisce, abbrevia, tronca, una parola. Po' infatti è l'abbreviazione di poco, come a mo' di a modo, oppure 'sto di questo. Usiamo quindi correttamente accenti e apostrofi.

sabato 16 febbraio 2013

10 anni


Nell’ultimo anno non ho scritto molti post in questo blog, soltanto 5 e per lo più senza venature polemiche forti come invece è avvenuto nel 2010-11, periodo di nascita di questo spazio virtuale.
Non ho scritto molto non per mancanza di argomenti ma perché mi sarebbe sembrato di essere un disco rotto e tutto ciò non è intonato al mio modo di essere. Non ho mutato idea in questo periodo sui temi che più hanno caratterizzato i miei scritti ma non ho ritenuto di alimentare polemiche inutili. Polemiche che poi si rivelano sterili nel contesto della voga veneziana.
Oggi invece sono qui a scrivere su un fatto del tutto personale, su un’esperienza che sta per concludersi. Ero un po’ indeciso se aspettare i primi giorni di Marzo ma di fatto non cambia nulla anche perché in merito a quanto sto per scrivere avevo deciso già da un bel po’, forse già da due anni.
L’associazione sportiva, la Canottieri Giudecca, di cui faccio parte rinnova il Consiglio direttivo ogni due anni e l’assemblea che voterà i nuovi consiglieri si terrà il 3 Marzo, quindi tra circa 2 settimane.

foto di A.De Nardis
la sede della Canottieri Giudecca, a volte definita mia "seconda casa" per il tempo trascorso qui dentro

Era il 2003 quando sono stato eletto per la prima volta nel direttivo della società e da allora sono passati 10 anni. È arrivato ora il momento di farsi da parte. In questi giorni ci sono state le “dimissioni” del papa ma non vorrei fare paragoni di questo genere, anche perché le due cose sono ben diverse e le mie motivazioni hanno ragioni completamente opposte. Non è il fatto di non essere in grado a ricoprire il ruolo da consigliere che mi spinge a lasciare, quanto piuttosto la mancanza di tempo da dedicare nei momenti “clou” (ovvero quando serve darsi da fare in modo pratico).
Ammetto che però una certa “stanchezza” si fa sentire. È una stanchezza legata al proporre novità, nuove cose, nuovi modi di pensare: purtroppo in questo contesto veneziano, quando si propone qualcosa di nuovo non si ha mai un riscontro positivo ma sempre essenzialmente reazioni circospette. Nel tempo quindi ho perso la capacità di entusiasmarmi per le piccole regate, magari poi snobbate da tanti; nel tempo i problemi di relazione e comunicazione con le persone che ruotano attorno a questo mondo sono sempre gli stessi. Eppure il mondo prende continuamente strade nuove e invece qui siamo un po’ troppo fossilizzati. Forse siamo un po’ pietrificati nella mente.
Un bilancio personale sulla mia esperienza decennale però va fatto e non è negativo.
Per come è strutturata l’elezione del Consiglio Direttivo, mi riferirò a mandati biennali. I primi tre mandati sono stati quelli più interessanti dal mio punto di vista, quelli durante i quali ho partecipato più attivamente nel mondo variopinto della voga veneziana, quelli durante i quali ho imparato come funziona questo strano contesto, tutto locale e poco o nulla realmente capace di guardare oltre un perimetro di, mediamente, 20km.
L’esperienza però è stata positiva e, soprattutto ad un giovane, può servire a capire molti aspetti della vita sociale. Per “sociale” in questo caso non intendo solo l’aspetto legato all’associazione sportiva ma, più in generale, usando un termine in voga in questi giorni, alla società civile.
Per quanto piccolo sia lo spaccato che ti si presenta davanti, si tocca con mano come i poteri politici condizionino scelte banali, come un certo modo errato di far avanzare la civiltà ti imprigioni dentro a certe scelte spesso da te indipendenti.
Si impara però anche a saper essere rigidi o elastici a seconda dell’occorrenza. Si osservano molti aspetti antropologici della società, delle persone. Insomma l’esperienza da consigliere, è dal mio punto di vista, formativa e utile per maturare.
Bisogna però aver bene in chiaro che essere un dirigente di società sportiva non è un incarico di potere, cosa che forse non è del tutto chiara a tutti. Anzi il dirigente in questo caso, è un volontario al 100%: ci si mette a disposizione infatti totalmente in modo gratuito, rinunciando a qualsiasi forma di compenso.
Il limite dei consigli direttivi delle associazioni sportive è che spesso i consiglieri sono sempre le stesse persone per tanti, troppi anni. Sarebbe necessario invece un rinnovamento continuo, pur sempre in continuità con le linee programmatiche passate. Infatti in due anni molti progetti non riescono a concretizzarsi per la lentezza degli enti pubblici con i quali spesso si ha a che fare e bisogna sempre procrastinare anche scelte importanti che limitano lo sviluppo della società sportiva stessa.
Altro fatto positivo è stato il vedere da molto vicino come funziona una federazione come la FIC e come sia diverso l’atteggiamento agonistico e societario tra gli atleti di canottaggio e tutto il resto. Per quanto giovani, questi ragazzi, nel tempo, crescono con valori e princìpi sportivi di alto livello. Insomma, non sto dicendo che chi fa voga veneta non possa essere un degno campione anche nella vita ma si notano delle evidenti differenze di approccio alla vita societaria. Nella media, l’atleta di canottaggio ha uno spirito di appartenenza maggiormente sviluppato rispetto a quello di un regatante di voga veneta.
In quest’ottica sono un po’ amareggiato per come non sono stato in grado di portare avanti un altro progetto interessante e valido, quello promosso dalla FICSF, ovvero il progetto VIP750, di cui tanto ho parlato in questo blog. Esperienza dal mio punto positiva ma non compresa da chi avrebbe potuto praticarla. Posso sempre dire che la specialità VIP750 è sempre a disposizione e la società potrà rientrare quando lo vorrà. Ma non vedo le condizioni giuste. Siamo troppo concentrati sul contesto locale, mentre il canottaggio FIC, all’interno della società, ha una sua forma strutturata che però non contagia altri ambiti.
Sempre in questi 10 anni ho vissuto da molto vicino le polemiche relative alla gestione del Coordinamento delle remiere (e anche di questo ne ho parlato abbastanza nel mio blog): il fatto che più mi dava fastidio era sentire dirigenti di altre società pronti a prendere sulla carta decisioni importanti e poi “spegnersi” (con anche forme di servilismo) al momento di attivarsi in modo pratico contro certi personaggi e certe scelte poco opportune. Anche in questo senso devo dire che non è cambiato molto, purtroppo.
Come dicevo poco sopra, i primi tre mandati sono stati quelli che ho vissuto con maggiore intensità. Sono stati anche quelli durante i quali la società è cresciuta moltissimo in termini numerici e di contenuti. Sono stati anni passati a conciliare le esigenze della società con quelle, un po’ egoistiche, dei regatanti. Il mio ruolo infatti, in quel periodo, è stato di consigliere per la voga alla veneta. In realtà eravamo sempre in due consiglieri con questo incarico per dividersi il lavoro.
Soprattutto il terzo mandato, quello del 2007-8 è stato da me vissuto con maggiore intensità decisionale, dove stavo un po’ alla volta portando a compimento alcune idee che mi erano venute negli anni. Anche se a molti non dirà granché, ricordo con particolare affezione l’organizzazione della regata “Valesalonga”, 20 km alla valesana. Progetto che poi è andato un po’ morendo: l’anno successivo perché il meteo non era favorevole e c’erano pochi concorrenti; come previsto nel bando, la regata è stata annullata (non senza polemiche ma se una cosa era chiara e scritta nel bando non vedo perché andare contro al bando stesso cercando di recuperare per forza la gara). Nel 2010 invece ero impegnato per questioni private e così ho rinunciato in partenza ad organizzare l’evento. In realtà il progetto “Valesalonga” era solo all’inizio e prevedeva qualcosa di molto più faticoso e, forse, spettacolare. Forse, da esterno rispetto al consiglio, può darsi anche che mi torni la voglia di impegnarmi per un breve periodo dell’anno e proporre l’evoluzione che ho in mente da tempo. Magari anche partecipandovi.
Gli ultimi due mandati, invece, sono stati un po’ sottotono. Ho cambiato incarico, occupandomi della gestione tecnica di alcuni aspetti informatici. Qui mi faccio autocritica dicendo che spesso non sono stato all’altezza. Mi è mancato essenzialmente il tempo. Non voglio comunque trovare scuse, diciamo che forse era un ruolo non adeguato al tempo che realmente disponevo. Infatti per operare in modo attivo non basta solo pubblicare contenuti in rete o gestire questioni tecniche ma bisogna anche aggiornarsi e imparare a fare cose che magari non si sono mai fatte. E per fare ciò si distoglie tempo al proprio lavoro e ad altri interessi personali.
Infine, volevo ricordare alcune persone in particolare. All’interno della società ci sono persone presenti da molti anni e andrebbero citate tutte, dalla storica ex-presidente al vecchio direttore di cantiere, dal tesoriere all’ex-segretario, dal presidente al vicepresidente etc. etc., persone che mi hanno dato qualcosa, chi in un modo, chi nell’altro. Non voglio quindi fare un elenco di nomi perché tutte sono persone valide che mi hanno aiutato a crescere in tutto questo tempo. Vorrei menzionarne tre che forse non hanno avuto tutta la visibilità che hanno (o hanno avuto) altri consiglieri. Il primo è Enzo Paolo Montin, che purtroppo non è più tra noi da qualche anno. Spesso col suo carattere un po’ criticato è stata la persona che mi ha guidato anche nell’essere consigliere durante il primo mandato e che mi ha anche seguito nel mio “inizio-carriera” da regatante di bassissimo livello, anzi io direi da vogatore.
La seconda persona è Giuseppe Greco che probabilmente è stato colui che mi ha “portato” all’interno del consiglio. Mentre la terza è Claudio Carrettin: il suo ruolo da consigliere della voga veneta (per 3 mandati se non sbaglio) è stato fondamentale per ricucire la fiducia tra regatanti e società che si stava un po’ rompendo a fine 2004. Personalmente ho rispettato la sua scelta di ritirarsi dal consiglio ma credo che, più di altri, la sua presenza sia stata un fattore chiave per comunicare con i regatanti nostri soci. Credo che negli ultimi anni la mancanza di quel tipo di dialogo si senta.
Ci sarebbe ancora molto da raccontare di questi 10 anni ma non voglio dilungare ancora il post.
Dal 3 Marzo quindi non sarò più Consigliere dentro quella che ormai definivo “mia” associazione. Resterà sempre la “mia” associazione. Ne resterò socio, anche se forse, dopo tutto questo tempo, tutto ciò sembra una specie di addio. A parte l’impressione iniziale, credo che ne gioverò.
Spero quindi che, scaricato da alcuni pensieri, possa riprendere a pubblicare con più frequenza all’interno di questo blog.
Chiudo con un’indicazione su quale debba essere il consigliere ideale, dal mio punto di vista, per una società sportiva dilettantistica.
Il ruolo da consigliere va ricoperto da due tipologie di persone: i giovani ventenni e i giovani pensionati. I primi sono i giovani studenti universitari che hanno abbastanza tempo a disposizione, almeno in certi periodi dell’anno, e che vogliono dare un contributo con la loro presenza. I secondi invece sono coloro che possono mantenere attiva la società per il tempo che hanno improvvisamente a disposizione. Ovviamente in tutti i casi si deve trattare di persone attive, capaci e appassionate al contesto sportivo in cui si inseriscono; devono poi essere persone competenti. Specialmente in questi ultimi anni la figura del dirigente sportivo assomiglia sempre più a quella di un manager aziendale. Infatti gli obblighi legislativi, soprattutto fiscali, impongono il rispetto di normative complesse, con risvolti penali notevoli. L’incarico quindi da consigliere non va preso con leggerezza ma con assoluta responsabilità e c’è bisogno di tenersi costantemente aggiornati.