Nuovamente solo sulla mia barca, nuovamente e
fortunatamente solo in una laguna silente e piatta. Questa pausa dalla
confusione e dai fatti contingenti mi si è resa necessaria per far quadrato
attorno a me stesso, per razionalizzare, o cercare di farlo, un momento un po’
difficile e diverso da tutto ciò che potevo aspettarmi fino a quel momento,
anche se fortunatamente tutto è andato molto meglio di quanto poteva accadere.
Un’uscita quindi al mattino presto, alle 5.30, appena dopo l’alba, se non
ancora durante la fuoriuscita del sole dall’orizzonte, almeno quello fasullo
delle costruzioni umane.
Per rispetto alla laguna ho spento subito il mio 8
cavalli: col rumore infatti, oltre che infastidire ambiente e fauna, avrei dato
fastidio a me stesso. Niente vento e quindi niente vela, restava quindi il buon
vecchio remo. Ed eccomi quindi a vogare e, inizialmente, nessun pensiero, solo
ad osservare l’acqua, il cielo, l’orizzonte, le isole, le alghe, le bricole, la
secca. Poi man mano che il tempo passava i primi pensieri, anzi ricordi del
passato, ricordi piacevoli ma anche qualche ricordo un po’ doloroso. Ad un
certo punto anche i ricordi hanno lasciato spazio ai ragionamenti. Per non so
quale motivo pensavo alla grandezza dei matematici, fisici e filosofi che tra 1700
e 1800 hanno gettato le basi della matematica che fa dannare gli studenti di
facoltà scientifiche come matematica, fisica, ingegneria e non solo. Ecco quindi Laplace,
Lagrange, Taylor, Newton… per citarne qualcuno dei più noti che mi sono
sovvenuti. Proprio pensando a Laplace, ricordavo il fatto che lo stesso
matematico riprese una teoria sulla cosmogenesi formulata dal filoso Prussiano
Immanuel Kant. E su Kant il mio pensiero si è fermato, perché ho potuto trovare
la soluzione analitica a ciò che mi stava mettendo in difficoltà. Ricordando a
spanne il percorso filosofico di Kant, da ciò che ho studiato alle superiori,
non si può non dimenticare quello che è considerata la sua opera principale,
ovvero la “critica della ragion pura” del 1781. In particolare è la ricerca di
una correlazione tra metafisica e scienza che in questo caso serve anche a me a
mettere ordine fra la realtà dei fatti scientifici e quei fatti imponderabili
(che qualcuno chiama anche destino) che non ci si sa spiegare perché possano
accadere. In realtà l’analisi di Kant va ben oltre il mio “problema”. Tralascio
in questo post tutta la sintesi del pensiero kantiano, in particolare com’è
sviluppata la “critica della ragion pura” (per approfondire clicca qui il link su wikipedia); in questo caso a colpirmi è la ricerca che Kant attua per darsi
una spiegazione sul fatto che la natura sembri seguire delle regole necessarie andando
a farle combaciare a quelle del nostro intelletto. Alla luce di quanto vissuto
il giorno prima, mi chiedo anch’io come uno scienziato o l’uomo in generale,
possa affermare di conoscere scientificamente la natura, definendo quindi delle
leggi specifiche; cioè di come la scienza riesca a trovare sempre (o quasi) una
spiegazione plausibile a ciò che ci accade (per esempio nel campo della
medicina).
Per giustificare questo ragionamento Kant usa l’appercezione
trascendentale, cioè quel concetto più conosciuto proprio in Kant come “io
penso”. Ovvero, riassumendo molto, che il poter dare delle rappresentazioni del
mondo è dovuto alla nostra coscienza di essere dei soggetti pensanti. In
pratica cioè che un oggetto è tale solo se rapportato ad un soggetto.
Personalmente trovo che questa spiegazione filosofica
della realtà (e della realtà scientifica in particolare) sia la miglior
spiegazione razionale che possiamo darci quando non sappiamo definire ciò che
sembra scardinare la nostra realtà ben definita e razionale. In pratica, sempre
secondo pensiero di Kant, pur conscio che l’”io penso” non può modificare la
realtà ma solo analizzarla, la mancata unione tra oggetto (fatto) e soggetto
(io) porta all’incomprensione dei fenomeni. È quello che accade quando l’emotività
ci fa rompere il legame tra noi (soggetto) e quello che ci accade (oggetto):
tutto si allontana dalla nostra portata e la realtà ci sembra incontrollabile.
La riflessione e il silenzio, il movimento e lo sforzo fisico invece ci possono
riportare a riprendere il controllo di noi stessi e quindi a ricostruire il
legame tra soggetto e oggetto.
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