sabato 23 febbraio 2013

La normalità sconosciuta

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Dalla pubblicazione di questo post di Remiera Casteo sulla carriera nella voga di Giuseppe Schiavon “Bufalo” è passato un po’ di tempo. Mi era stato chiesto dall’autore del blog appena citato di unirmi ai vari messaggi nei commenti.
Non trovavo sinceramente una motivazione valida per farlo. È ovvio che riconosca i suoi meriti sportivi. È altresì ovvio che riconosca il suo valore come persona. In questo senso mi sembrava banale commentare. Essendo anche conosciuto in questo contesto sinergico web-voga, mi pareva di essere il solito “presenzialista”, considerando anche il fatto che sarebbe stato l’ennesimo commento fotocopia. Allo stesso modo mi sembrava di fare “l’originale per forza” se avessi scritto qualcosa di diverso.
Giuseppe Schiavon personalmente non l’ho conosciuto, credo di averlo visto presso la sede dell’Associazione Canottieri Giudecca in non so che occasione. Per il resto le sue gesta mi sono note per i racconti diretti di mio nonno (ricordo: primo cugino di Piero Penso “Scuciareto”) che individuava proprio in lui la figura “moderna” del regatante e vero atleta, a differenza di altri regatanti, pur campioni ma non propriamente atleti.
Leggendo i commenti all’articolo di Massimo Veronese, quello che più mi ha sorpreso è il fatto che molti abbiano sottolineato questa frase:
 “Un po' di fortuna e cattiveria in più, unite a qualche scorrettezza ben dosata e "sopportata" dai giudici a mo' di aiutino sarebbero state utili per regalarmi maggiori soddisfazioni...ma tutto ciò non faceva parte della mia indole”.
Io non trovo questo aspetto così strano. Trovo piuttosto strano che si possa definire una scorrettezza “ben dosata e sopportata dai giudici”. Una scorrettezza è una scorrettezza e come tale deve essere punita. Ovviamente capisco bene che Schiavon si riferisca alle abitudini di quella volta che forse non sono così cambiate nel contesto delle regate comunali.
D’altra parte un campione di canottaggio come lui doveva e deve ben conoscere i valori dello sport.
Questo aspetto mi riporta quindi alle mie, quasi infinite, considerazioni sui valori della sportività che sono perle rare nel mondo della voga veneta tradizionale.
Dalle parole di Schiavon si riesce quindi a capire come la voga veneta non sia mai stata considerata una disciplina sportiva per come la intende un comitato olimpico o una federazione sportiva. Soprattutto stona il fatto che i valori normali dello sport, nel contesto della voga veneziana, siano se non proprio sconosciuti, un po' "rivisitati" secondo i propri interessi personali.
Diciamo che commentando da “foresto” questa osservazione, si può senza remora affermare che la voga veneta soffre di un provincialismo intrinseco a quello che è il modo di vivere e di pensare di molti veneziani.
Anche in questo senso Schiavon ha la mia ammirazione perché ne è evidentemente al di fuori. Un veneziano che sceglie la bicicletta come passatempo è se non “diverso” quantomeno un veneziano un po’ anomalo. Anomalie di questo tipo fortunatamente ce ne sono più di quante si possa pensare e ne so qualcosa anch’io.

Aggiungo una nota su una correzione grammaticale: nella citazione che ho copiato non mi ero accorto che la parola po' era in realtà scritta erroneamente pò. Noto che errori di questo tipo sono molto frequenti, purtroppo; tra l'altro comunicano un senso di mancanza di attenzione verso la nostra cultura letteraria. L'apostrofo sostituisce, abbrevia, tronca, una parola. Po' infatti è l'abbreviazione di poco, come a mo' di a modo, oppure 'sto di questo. Usiamo quindi correttamente accenti e apostrofi.

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